Quando Bacco serve alla riminese

    Il 7 settembre dello scorso anno è nato il Manifesto degli espatriati. L’iniziativa, lanciata da due giornalisti, Claudia Cucchiarato e Sergio Nava, al grido di l’Italia non è un paese per giovani, ha subito riscosso un grande successo, raccogliendo centinaia di adesioni. A parlare sono soprattutto ragazzi e ragazze costretti a lasciare il paese per dare vita alle loro aspirazioni. Persone che qui non trovano spazio per la professione per cui hanno studiato. In molti partono, in pochi tornano. E sarà così, a detta dei due fondatori, fino a che l’Italia non riuscirà a fornire le garanzie minime per invogliare cittadini e investitori a lavorare qui.
    Anche le nostre due storie di Riminesi nel mondo raccontano la stessa voglia di fuga, di respiro. Per Emanuele Pasquinelli la partenza non è stata una necessità, ma una sfida che però si è subito trasformata in un’occasione allettante. Ventinovenne, residente a San Clemente, Emanuele dopo la laurea ha lavorato come consulente finanziario e poi agente.
    “A fine 2009, mentre ero ancora sotto contratto come agente finanziario mi contatta mio zio Sergio, che vive e lavora in Thailandia da circa 11 anni. Possiede un ristorante in pieno centro, a Bangkok da circa 400 posti, cucina tipica italiana con prevalenza romagnola. La sua idea è di ampliare l’attività con un franchising. Per me è stata una sfida irresistibile. Ho lasciato lavoro, amici e parenti e sono partito. L’esperienza di lavoro nei ristoranti mi mancava, e la tentazione di mettere assieme le mie due professioni è stata grande”.
    Dopo un periodo di lavoro insieme allo zio, il 4 marzo del 2010, Emanuele apre il suo locale: il ristorante The Bacco (www.thebacco.com) con annessa palestra Bludeck, un po’ fuori città, in zona aeroporto. Com’è stata l’esperienza?
    “Il primo impatto è stato difficoltoso. Le abitudini qui sono molto diverse. Al ristorante i commensali prediligono lo stile dello sharing: pietanza nel mezzo e tutti che si servono da lì. Nessun piatto individuale. Oppure la cultura di portarsi il proprio vino al ristorante o quello di farsi impacchettare il cibo rimasto per mangiarlo a casa. Cose a cui noi non siamo abituati”.
    Cosa prepari nel tuo ristorante?
    “Il menù è tutto italiano, con maggioranza di piatti romagnoli. L’80% dei prodotti è di importazione italiana, il resto è locale, oppure arriva dall’Australia. È un ristorante per una fascia medio alta di persone, anche perché i prodotti importati hanno una maggiorazione terribile, anche del 3 o 400%. Comunque il ristorante va bene. Il lavoro cresce. Ad oggi ho 42 dipendenti tra cucina, servizio e ufficio. Ho anche aperto un servizio di consegne a domicilio e mi sto organizzando per il catering”.
    Fuori dal lavoro come ti trovi in Thailandia?
    “Mi trovo bene. È una cultura molto diversa. È difficile farsi amici, soprattutto perché lavoro tanto. Per molti thailandesi, poi, gli stranieri sono quelli coi soldi e quindi è difficile avere rapporti. Sotto altri aspetti, invece, i Thai sono molto simili a noi. Sentono molto forte il valore della famiglia e della riservatezza. Per il resto Bangkok è una grande metropoli e i divertimenti non mancano, anche se sento nostalgia dell’atmosfera della mia Rimini, del mare, delle vacanze estive, delle persone”.
    Pensi mai di tornare?
    “Mi piace considerare questa come un’esperienza non definitiva. Aspetto momenti migliori in Italia per tornare. Qui, in effetti, c’è la possibilità di fare cose enormi se uno ha voglia. In Italia e in Europa secondo me non sarebbe altrettanto facile”.

    Stefano Rossini