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Può tornare ad essere la porta di Rimini?

Un fazzoletto di terra ritagliato fra la statale Adriatica, la strada per Santarcangelo e la zona artigianale. San Martino in Riparotta si presenta così oggi. Un triangolo reciso dalla ferrovia, in cui è “atterrata” la Fiera come un’astronave. Un’ex campagna-aperta solcata da infrastrutture notevoli, inurbata celermente e in tempi recentissimi. La sua chiesa settecentesca era un tempo la porta ovest di Rimini, salutava i viandanti della via Emilia e segnava il territorio con l’elegante fronte slanciato. Ora la parrocchia è confinata nella propaggine più occidentale della frazione, al di là del rotondone che la separa dal tessuto residenziale, sviluppatosi attorno ai padiglioni. Una nuova comunità si è insediata. Ma con quali conseguenze?

Urbanistica disorganica. “Questa zona, così come l’adiacente Viserba con il suo boom edilizio degli anni ‘70, è stata «terra di conquista» per gli urbanisti delle amministrazioni passate che l’hanno progettata senza un piano organico che tenesse conto, ad esempio, della viabilità”. È quanto ci raccontano un gruppo di abitanti della zona, molto attivi sul piano sociale. Tra questi, Pierluigi, architetto, racconta come San Martino si trovasse “sul corso d’acqua dei mulini che scorreva fino al mare, il quale segnava il paesaggio seguendo una sua curvatura naturale. Una presenza storica che non è stata rispettata, soppiantata da un’infrastruttura rettilinea”. “La chiesa sorge alle porte di Rimini: in una città moderna, a livello macro-urbanistico, è qui che dovrebbero nascere i grandi parcheggi di interscambio, i percorsi ciclabili che scendono fino al mare, alla città. Ciò non accade. Oltre alla mancanza di progetti sembra che manchi l’amore per il territorio. Rimini non ha ancora capito che le sue frazioni sono delle vere e proprie città”. San Martino era anche la chiesa per gli abitanti di Viserba e di Viserba Monte, centri storicamente legati tra loro, oggi disgiunti dalla statale. Si domanda Daniele: “Perché non tornare a pensare questi centri senza soluzione di continuità, con progetti organici che li concepiscono come uniti? Negli anni purtroppo è prevalsa la logica del guardare al singolo lotto senza integrarlo col contesto: tanti e piccoli progetti fini a se stessi”.

“Bisogna potenziare quello che già c’è, far emergere sinergie”. Si sente sempre di più l’esigenza da parte degli abitanti di tornare a comunicare. L’area presenta un crogiolo di persone. Ci sono gli immigrati, gli ex contadini, le giovani coppie con bambini. “Ma la comunicazione è spesso difficile. – proseguono gli abitanti/attivisti – Da un lato l’inurbamento ha messo insieme famiglie che non si conoscevano, dall’altro i tempi sono stati talmente veloci che abbiamo perso il contatto umano, sempre più assorbiti dal lavoro, dai social network. I rapporti sono progressivamente scivolati in secondo piano. Si sente sempre di più l’esigenza di condivisione”. Spunto per il futuro: “Esistono molte realtà tra San Martino e Viserba che operano nel sociale, ciascuna indipendentemente. Sarebbe utile che queste cooperassero”. Per usare un’espressione in voga, si sente l’esigenza di “fare rete”: mettere insieme le risorse, razionalizzare le spese, far tesoro delle esperienze altrui ed operare insieme.

Le idee ci sono. “È in atto un movimento creativo. Ci sono in campo diverse iniziative (comitati, associazioni culturali, Caritas, attività parrocchiali) che hanno come obiettivo la promozione del fare società”. “La politica spesso quando interviene lo fa apportando qualcosa in più, di alieno, quando invece si potrebbe riqualificare, rinforzare ciò che già c’è ed integrarlo alle altre realtà. La politica deve svestirsi di protagonismo e creare qualcosa che nasca dalla passione per il territorio, non dal carrierismo. Occorre dare modelli di vita corretti ai giovani”. E a proposito di giovani, nella parrocchia di San Martino sono esplose le attività a loro dedicate. Circa 130 frequentano il catechismo. “Il coinvolgimento dei ragazzi è fondamentale – racconta Roberta, una catechista entusiasta per il boom di giovani – perché si portano dietro le famiglie, che si integrano così nella vita di comunità”.

Quartiere dormitorio. San Martino manca di un centro, di una piazza, di servizi. I pochi negozi che ci sono soffrono la congestione dovuta alle fiere. “Si è appena concluso il Sigep e per noi è stato un disastro. Le macchine parcheggiate ovunque non permettevano ai nostri clienti di raggiungerci. – racconta la proprietaria dell’alimentari – I vigili fanno un buon lavoro, ma gli automobilisti poco educati improvvisano parcheggi vandalici”. “Ora le fiere sono diminuite (gli operatori in negozio lamentano affitti troppo alti per gli stand). Purtroppo se n’è andata anche quella dei camper, l’unica che ci dava lavoro. Siamo qui da 8 anni e ogni anno gli affari vanno sempre peggio”. Per il resto la zona “sembra un mortorio. Pensavamo che la Fiera avrebbe portato vita, invece qui la gente ci abita solo per dormire. Ci dovrebbero essere più attività; sembriamo solo una strada di passaggio per servire le fiere”. Anche un altro esercente è d’accordo sulla mancanza di un’anima di quartiere: “È una zona abitata, ma non vissuta. La gente qui dorme, ma il resto lo fa altrove. Lo stesso bar fa orari bizzarri, chiude prestissimo”. Don Danilo Manduchi, parroco di San Martino, ricorda come 20 anni fa l’amministrazione fece delle promesse riguardo alle problematiche strutturali di San Martino. “Dissero: quando tutto sarà a regime ci ringrazierete. E invece… Ma non si tratta solo di problemi di urbanistica. La congestione delle strade vicinali crea tensione fra la gente”.

Mirco Paganelli