Utopia galleggiante, controversa questione di diritto internazionale o – meno poeticamente – l’originale tentativo economico di un geniale professionista? Quale motivazione fece realmente “sbocciare” l’Isola delle Rose, la micronazione nata nelle acque di Rimini, rimarrà un mistero. Si tratta comunque di una delle storie più bizzarre che la Riviera (e l’Italia intera) ha vissuto.
Il sogno dello “Stato che fece tremare l’Italia” si era tuffato in acqua il 1 maggio 1968, data in cui l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa aveva proclamato l’indipendenza dell’Isola delle Rose, nazione di 400 metri galleggianti su una piattaforma di acciaio (estendibile in orizzontale e in altezza, previsti cinque piani), da lui stesso progettata e fatta costruire (per circa 100 milioni) al largo di Rimini nord, a 6 miglia dalla costa e in acque internazionali, confine successivamente spostato a 12 miglia per evitare altre anomale “fioriture”.
La micronazione diventa immediatamente un caso nazionale e internazionale, suscitando da una parte grandi timori, dall’altra speranze e sogni. Quel tratto di mare Adriatico si trasforma in un’attrazione turistica: ogni mattina turisti in barca fanno il giro della piattaforma, e acquistano i francobolli emessi dal nuovo stato. Giornali e televisioni di mezzo mondo spediscono in riviera troupe e giornalisti per indagare sulla strana creatura. Le ipotesi si accavallano: per qualcuno dietro al bizzarro progetto dell’ing. Rosa c’è l’ombra di una potenza straniera (siamo in piena Guerra Fredda), per altri si tratta del tentativo di un magnate delle comunicazioni di avviare una tv pirata in faccia alla Rai (è il periodo delle radio libere). I due enormi ripetitori piazzati dall’ente di viale Mazzini di fronte all’Isola starebbero a testimoniarlo. Politici e autorità sono spaventati dalla presenza di un nuovo soggetto internazionale a poche miglia dalle coste italiane, la cui vicenda – fa notare la professoressa Lucia Serena Rossi, docente di Diritto internazionale all’Università di Bologna – viene trattata in maniera differente rispetto a quanto accade negli stessi anni nel freddo Mare del Nord, al largo dell’Inghilterra, il Principato di Sealand, ancora oggi esistente. Nel BelPaese si agita lo spettro della creazione di un casinò, con gioco d’azzardo ed entreneuses, che rischiano di far crollare la moralità già intaccata dalle turbolenze del Sessantotto. L’Isola delle Rose cavalca l’onda, forse più alta di quanto si aspettasse il suo creatore. Come lingua ufficiale adotta l’esperanto, che a Rimini ha uno sviluppato centro di matrice cattolica, e vorrebbe far sorgere sull’isola il suo centro internazionale. Due interrogazioni parlamentari tolgono poesia alla vicenda, definita “il caso dello stato burletta nato nelle acque dell’Adriatico”. Mentre l’Ambasciata Americana a Parigi scrive al nuovo stato per chiedere francobolli, le forze militari italiane (a 55 giorni dalla proclamazione d’indipendenza) proclamano l’embargo e occupano la piattaforma, insieme al “suddito”, il barista Pietro Bernardini. Arrivano gli uomini della Marina Militare che piazzano le cariche: nel febbraio 1969, le Rose appassiscono in mare. Il conto è pure salato: 14 milioni. “Amareggiato ma giovane professionista”, l’ingegnere “non voleva altri guai”.
L’incredibile vicenda è riemersa dalle acque dell’Adriatico esattamente a cinquant’anni dalla sua forzata scomparsa grazie alle edizioni Interno4 che hanno riportato in libreria, e nelle principali edicole di Rimini, dopo anni di assenza, il cofanetto contenente il film documentario di Cinematica e il libro del giornalista Giuseppe Musilli.
Il docu-film di un’ora, Insulo de la Rozoj – La libertà fa paura, realizzato
da Stefano Bisulli, Vulmaro Doronzo, Giuseppe Musilli e Roberto Naccari, attraverso un minuzioso lavoro di ricerca in mezza Europa ha riportato alla luce documenti e lettere inedite, rintracciando testimoni e protagonisti. Come l’imprenditore tedesco Rudy Wolfgang Neumann, nominato “ambasciatore” dell’Isola delle Rose che ha conservato filmati, immagini, giornali. “Ero laureato da 10 anni, ma vedevo nella professione troppa burocrazia, lentezza, carte. – spiegò una volta l’l’ingegner Giorgio Rosa – Così ho pensato ad uno Stato autonomo, snello, un isolotto fuori dalle acque territoriali, libero da ingerenze. L’ho fatto brevettare. Purtroppo lo Stato italiano me l’ha fatto saltare”.
L’Isola delle Rose ha stimolato la fantasia. Un museo di Vancouver, in Canada, nel 2008, ne ha celebrato il mito con un’installazione, mettendola in parallelo con l’isola di Utopia di Tommaso Moro. Al micro stato il fumetto Martin Mystère ha dedicato un albo, poi rilanciato in una extended version dal festival riminese Cartoon Club. Ed ha ispirato il romanzo di Walter Veltroni L’isola e le rose (Rizzoli, 2012). In ogni caso gli architetti sono concordi: Dubai non ha inventato nulla, l’isola d’acciaio mezzo secolo fa era già fiorita nell’Adriatico.
Paolo Guiducci