Home Attualita Profughi, Rimini… a porte chiuse

Profughi, Rimini… a porte chiuse

 

profughiLa provincia di Rimini si aggiudica l’ennesima maglia nera. Dopo il primato per incidenza di reati, soprattutto furti e borseggi, denunciati nel corso del 2015 (dalle statistiche de Il Sole 24 Ore pubblicate lo scorso ottobre), e dopo essersi piazzata all’ultimo posto, in tutta la Penisola, per qualità della vita, secondo la classifica annuale di ItaliaOggi, resa pubblica a novembre, la provincia felliniana fa registrare un altro record negativo. Secondo un dossier del quotidiano nazionale La Repubblica, Rimini si colloca come fanalino di coda nella graduatoria relativa all’accoglienza di profughi e migranti. Ben quindici sindaci su venticinque hanno detto no, il che significa tre comuni ogni cinque. Tradotto: gli 860 profughi attualmente presenti sul territorio Riminese, numero che secondo le statistiche del Viminale è destinato a salire fino al migliaio, non ricevono accoglienza dal 60% delle Amministrazioni comunali. Numeri importanti, se non impressionanti. Ma sono numeri che evidenziano una situazione molto complessa, che non nasce, esclusivamente, da atteggiamenti di mero razzismo. E liquidare in questo modo tali dati non può che acuire la confusione, l’incomprensione e la conseguente tensione. Il prefetto di Rimini Giuseppa Strano, infatti, tenta di evidenziare questa complessità, quando afferma che il report de “La Repubblica” fotografa una “classifica strana, per la quale bisogna tenere conto che molti comuni non hanno strutture idonee. I rifiuti da parte dei sindaci sarebbero pochi” continua Strano, che precisa che li obbligherebbe “ad ospitarli se solo fossero dotati di luoghi di accoglienza adatti”.

La fotografia
Come già anticipato, è del 60% il totale dei comuni del Riminese che non pongono in essere alcun tipo di accoglienza. Nessuna traccia nella terra di Tonino Guerra, Pennabilli, o nella rocca di San Leo. Ma non solo. Nella percentuale rientrano anche altri comuni della Valmarecchia, come Talamello, Sant’Agata Feltria e Casteldelci. O la Valconca al completo: San Giovanni in Marignano, Gemmano, Montegridolfo, Mondaino, Saludecio, Montefiore, Morciano e San Clemente. Attenzione, però. Perché in altri comuni della provincia, di profughi e migranti accolti ce ne sono, ma nel prossimo futuro potrebbero essere “troppo pochi”.
Secondo l’ultima circolare del Ministero, infatti, i profughi andranno presto ripartiti su base comunale e non più regionale: 6 nei comuni sotto i 10mila abitanti, 1.5 su mille nelle città metropolitane, e il grosso, 2.5 ogni mille abitanti (ma la percentuale potrebbe salire fino al 3) nei comuni sopra i diecimila abitanti. Sono sopra questi parametri Rimini (557 profughi, 3.77 ogni mille residenti), Cattolica (145 profughi, 8.47 per mille), Poggio Torriana (22 profughi, 4.28 per mille) e Novafeltria (27 profughi, 3.77 per mille). Dunque, secondo questi nuovi criteri di ripartizione, nella situazione attuale diversi comuni, seppur accoglienti, si troverebbero ad avere proporzioni troppo basse di richiedenti asilo: Riccione (0.43 ogni mille abitanti), Bellaria (0.46 per mille), Santarcangelo (2.08 per mille), Coriano (1.71 per mille), Montescudo Monte Colombo (1.92 per mille) e Verucchio (0.5 per mille). Questa la panoramica dei dati. Ma quali le ragioni di questi numeri?

Misano pronto, ma…
Sulla Romagna costiera gli alberghi hanno, già da tempo, aperto le loro porte per l’accoglienza, anche se solo in via temporanea. L’unico comune costiero a trovarsi privo di profughi è Misano Adriatico, il cui primo cittadino, però, si dice completamente disponibile all’accoglienza. E quindi? Il perché di questo paradosso lo spiega lo stesso sindaco a La Repubblica: “Mi era stato chiesto in estate – le parole di Stefano Giannini – ma con gli alberghi pieni era impossibile. Poi da settembre non ho più avuto richieste. Non abbiamo problemi ad ospitare ma, semplicemente, non ci è stato più chiesto”.

Montefiore categorico
Di tutt’altro avviso, a ulteriore conferma dei tanti segni diversi nelle ragioni della mancata accoglienza, è il comune di Montefiore. Il >no all’accoglienza è categorico, e arriva direttamente dalle parole del sindaco, Vallì Cipriani, intervistata dalla giornalista riminese Lucia Renati per Tagadà, in onda su La7.
<+cors>“Basta con questo falso buonismo, nel mio comune i profughi non arriveranno mai. Ho molti cittadini che sono venuti qua ad incoraggiare questa battaglia, perché sanno che li difendo. Perché prima di tutto ci sono loro. Ho dei doveri fondamentali verso coloro che mi hanno votato, e al di là delle strade, dei lampioni e dei fossi, devo tutelare le famiglie e soprattutto fare in modo che vivano una vita dignitosa. Non chiedono altro che riuscire a pagare le bollette a fine mese, senza lussi e pretese. Siamo arrivati ad un punto in cui è una questione di sopravvivenza per i nostri concittadini”.
E al perché di queste dichiarazioni, il sindaco Cipriani spiega che “ci devono essere garanzie sanitarie e di sicurezza, che il paese non ha più. Occorre fare distinzione tra profughi e migranti. I profughi hanno diritto ad essere aiutati, sarebbe un numero esiguo e tutti potrebbero davvero trovare una vita dignitosa. Perché non credo che sia dignità abbandonarli nei parchi e nei giardini, ed assistere, noi stessi, a queste scene pietose”.

Il no di Pennabilli
Vicino al pensiero del primo cittadino di Montefiore è quello del collega di Pennabilli, Mauro Giannini.
“Occorre innanzitutto chiarire chi sono i veri profughi e cosa si intende per accoglienza. – le parole, forti, di Giannini – I veri profughi sono una piccola categoria che dovrebbe comprendere solamente donne e bambini. Gli uomini, se c’è una guerra, dovrebbero combattere per la libertà del proprio paese, non scappare e abbandonare le famiglie. Se accoglienza è speculazione, abbandono o discriminazione, preferisco essere inospitale. Non si può accogliere in territori dove non esistono i servizi, stipando le persone come bestie, ciò porterebbe all’emarginazione. Non si può accogliere quando non si riesce nemmeno a risolvere i problemi dei propri cittadini. Preciso che sono contrario a ogni forma di razzismo, ma non mi si chieda di accogliere sedicenti profughi finché ci sarà un solo mio concittadino, italiano e non, in difficoltà senza che lo Stato lo aiuti. Sono anche contrario al buonismo di coloro che si riempiono la bocca con la parola «accoglienza»: che siano i primi ad aprire le porte delle loro case, a proprie spese”.

Gemmano è senza spazio
Di tutt’altro avviso, invece, sono le parole di Riziero Santi, sindaco di Gemmano, uno dei comuni privo di profughi accolti, che nello spiegare le ragioni di questa situazione afferma: “Le competenze dei comuni relativamente al tema dell’accoglienza riguardano l’eventuale disponibilità di strutture pubbliche da mettere a disposizione delle associazioni che si convenzionano con la Prefettura. Il Comune di Gemmano non ha al momento strutture pubbliche inutilizzate da adibire all’accoglienza profughi. Sottolineo però che, fino a quando ne aveva, Gemmano ha, sempre, ospitato profughi”.
Non (solo) questione di razzismo, quindi. C’è di più, in questa situazione complessa, che cammina in equilibrio precario tra ideologie, burocrazia e questioni tecniche. Una grande complessità che però, troppo spesso, è ridotta all’estrema semplificazione dai paladini del populismo. Gli unici vincitori.

Simone Santini