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Profughi, non rifiuti

C’è un tema di discussione che non ha timore di essere scavalcato da nessun altro evento, né la crisi politica, né le Olimpiadi, né il nuovo campionato di calcio, né l’estate con i suoi riti vacanzieri: è il tema dell’immigrazione che ormai abita quotidianamente ogni dibattito, ogni giornale, ogni incontro istituzionale. Ed è un parlare surreale; di persone, di morte, di disperazione, ma con toni che normalmente usiamo per la merce: dove li mettiamo, cosa ne facciamo? Sono un pericolo o una risorsa? Quanti ne prendiamo e chi li deve prendere? Un parlare che assomiglia molto a quello dei rifiuti… Li mandiamo altrove… no, ognuno si tenga i suoi. Come fare a contenerli… Sono un guadagno… No sono pericolosi… È una emergenza!

L’immigrato che affronta il mare di notte, rischia la vita, arriva brutto, sporco e cattivo sulle nostre coste e chiede solo pace, pane e un pizzico di tranquillità, è il nemico perfetto. Sei senza lavoro? Colpa di chi te lo toglie, il “clandestino” disposto a fare tutto e per quattro soldi. Ti senti insicuro nella tua città? Colpa dell’immigrato.
Intanto Sagunto brucia! Aumentano gli sbarchi, la disperazione, le morti in mare, i trafficanti di essere umani, i bambini che, se anche sopravvivono, difficilmente avranno un futuro.

Perché si parte? Perché si affronta il mare in condizioni disumane rischiando una morte atroce? Cosa si lascia alle spalle chi spende quel poco che ha per rifarsi una vita in Europa?”. Meglio morire in mare che stare in Libia. In mare si muore una volta sola, se stai in Libia è come se morissi tutti i giorni”.

Per questo si viaggia anche per 400 km legati sotto un tir.

Anche il Meeting di Rimini ha avuto il suo dibattito con relative polemiche, a partire dall’intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella: “ Ci vuole umanità verso chi è perseguitato, accoglienza per chi ha bisogno e, insieme, sicurezza di rispetto delle leggi da parte di chi arriva. Occorre severità massima nei confronti di chi si approfitta di esseri umani in difficoltà, cooperazione con i Paesi di provenienza e di transito. È illusorio pensare che la soluzione sia un cartello con su scritto «vietato l’ingresso» . Non ci difenderemo alzando muri verso l’esterno, o creando barriere divisorie al nostro interno.

Al contrario. Occorre ricominciare a costruire ponti e percorsi di coesione e sviluppo. Occorre rendersi conto che vi è un destino da condividere. Stiamo parlando di condivisione dei benefici e delle responsabilità; e anche delle difficoltà. Condivisione dei diritti e dei doveri”.

di Cesare Giorgetti