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Profughi, dov’è lo stato?

È triste, ma accade spesso.

Col passare del tempo una tragedia, dopo l’iniziale sbigottimento, diventa “normalità”. Finisce sullo sfondo, si rende quasi invisibile, per fare spazio a nuove problematiche, crisi, emergenze. È ciò che sta avvenendo anche con la guerra in Ucraina: a oltre cinque mesi dall’inizio dell’invasione russa, l’opinione pubblica si è “raffreddata”, mostrando, in generale, meno attenzione al tema. È quello che bisogna evitare.

Non solo perché si tratta di un conflitto sull’orlo dell’escalation internazionale, ma anche perché ha una forte componente umanitaria che ci riguarda da vicino. I flussi di profughi ucraini verso il nostro Paese, seppur con intensità diversa rispetto a qualche mese fa, esistono ancora. E il tema dei rifugiati e della loro accoglienza non può finire sullo sfondo.

Accoglienza

Uno Stato che arranca Proprio quello dell’accoglienza è il tema d’attualità di queste settimane. Sono stati pubblicati i dati relativi ai profughi ucraini presenti oggi in Italia e al “colore” della loro accoglienza. Secondo i numeri (resi noti dall’agenzia di stampa Redattore Sociale), ad oggi solo il 10% dei rifugiati ucraini entrati nel nostro Paese è stato accolto dal sistema pubblico: 13.304 su un totale di oltre 137mila ingressi, 12.214 nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e 1.090 nel Sai (il Sistema di accoglienza e integrazione).

Una sproporzione importante, che fotografa in modo eloquente le difficoltà del sistema pubblico nel gestire la situazione, in larga parte affidata all’iniziativa dei privati. Come conferma Filippo Miraglia, portavoce del Tavolo Asilo Nazionale (l’ente che riunisce associazioni in tutta Italia impegnate sui temi dell’immigrazione): “ I dati sull’accoglienza degli ucraini nel sistema pubblico spiegano più di qualsiasi analisi che l’Italia ha scaricato in gran parte sui privati l’onere dell’assistenza ai profughi. La proporzione, poi, tra Cas e Sai indica ancora una volta come prevalga la risposta emergenziale con soggetti e strutture non adeguate ad un’accoglienza dignitosa.

Questa guerra non sembra destinata a finire presto – aggiunge Miraglia – e sarebbe opportuno che lo Stato si occupasse di trasferire l’onere dell’accoglienza, che sta sperimentando anche processi positivi (la libertà di scegliere dove andare, la libertà di movimento) dal privato al pubblico prima possibile.

Non si possono accettare in una crisi così grande e in una situazione di emergenza, risposte così tardive da amplificare i problemi dei profughi e un carico dell’accoglienza in capo ai privati per l’80%”. Lo considero un fallimento di dimensioni gigantesche del sistema pubblico. – è il commento di Gianfranco Schiavone, membro di Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) È un quadro che restituisce l’assenza dello Stato nell’assistenza a queste persone. Quell’accoglienza diffusa, promessa all’inizio, non c’è stata.

Resta il malfunzionamento di fondo e la risposta deve essere nella programmazione futura, seria e adeguata, che ad oggi è sconosciuta a chi governa il sistema”.

A Rimini

Sul territorio riminese la situazione non è diversa. È ormai noto, infatti, il grande flusso di profughi ucraini che soprattutto nelle prime fasi del conflitto vedeva il riminese come destinazione. E, anche qui, una grande parte trovava più risposte dal mondo privato rispetto al sistema di accoglienza pubblico (prima dell’estate nella provincia riminese risultavano oltre 4mila rifugiati ucraini, di cui circa 400 accolti nei Cas).

Non è una situazione sorprendente. – è la riflessione di Luciano Marzi, responsabile servizi immigrazione della Caritas diocesana di Rimini Quella dei profughi ucraini è una migrazione di persone che hanno una certa possibilità economica e che appartengono a un ceto sociale medio, e in alcuni casi medio-alto. Soprattutto nelle primissime fasi. Persone, dunque, che avevano la possibilità di adattarsi anche a situazioni che non fossero solo quelle offerte dai centri di accoglienza, potendo agire in autonomia. Come? Contando sull’appoggio e sull’accoglienza di amici o anche parenti già presenti sul territorio (sappiamo che Rimini ha una delle comunità ucraine più grandi d’Italia).

Condizioni che consentono anche un accesso più agile al mondo del lavoro (si sottolinea che spesso si tratta di persone molto scolarizzate, anche laureate, competenti nella lingua inglese). Insomma, dati questi elementi, non sorprende troppo che gli stessi profughi abbiano potuto prediligere il mondo privato una volta giunti sul territorio. Certo, sono arrivate anche persone di estrazione sociale più bassa, ma per quanto riguarda la mia esperienza su Rimini non mi è capitato di vedere soggetti particolarmente fragili o sguarniti, che necessitassero di un accompagnamento a 360 gradi, come invece avviene nei casi di migrazioni più povere, cui continuiamo ad assistere da diversi anni da altri Paesi”.

Una situazione, però, che non può funzionare all’infinito. Deve subentrare lo Stato che, però, arranca. Perché? “ Le risposte del nostro Paese ci sono, ma sono molto parziali.

Guardiamo al sistema Cas: si tratta di un sistema emergenziale, che però sta faticando a dare risposte alle emergenze specifiche di questo momento, rappresentate soprattutto da famiglie. E questo avviene perchè si tratta di un sistema adattato sui singoli individui, perché pensato e realizzato in funzione di altri tipi di emergenze, di flussi migratori diversi.

Come se in Italia ci potesse essere solo un tipo di crisi a cui rispondere. Un sistema, dunque, che difetta della necessaria capacità di adattarsi ai mutamenti delle situazioni. E questo, purtroppo, è sintomo di un problema più grande che l’Italia ha e che conosciamo: le difficoltà del sistema pubblico di essere flessibile e veloce nell’adattarsi ai cambiamenti.

Il sistema italiano è macchinoso, si basa su procedure burocratiche pesantissime. Una macchina, insomma, che non ha i cavalli necessari per lanciarsi in qualcosa di diverso, rispondendo adeguatamente ai rapidi cambiamenti, soprattutto sociali, che possono presentarsi. Come sta avvenendo ora”.