Prima ti espongo, poi ti riciclo

    La gente vuole vedere opulenza. Scaffali strapieni, banchi frigo ricolmi, reparti traboccanti di ogni prelibatezza. Più stimoli il cliente, più lui acquista. Lo sanno bene i supermercati che su questa filosofia hanno costruito la loro strategia di marketing. Ma su questo stesso principio, tonnellate di cibo vengono buttate ogni giorno dai punti vendita che non riescono a smaltire tanta abbondanza.

    Mamma, quanto spreco!
    In Italia – secondo un’indagine dell’Università di Bologna “Last Minute Market” – si perde cibo sufficiente a nutrire 44 milioni di persone per un valore di 37 miliardi di euro, ben il 3% del Pil. Da quanto si legge nel rapporto, ogni italiano ha a disposizione circa 3.700 calorie di cibo quando le stime della FAO ne indicano 1.800/2.200. Ancora meno incoraggianti i dati resi noti a Bruxelles lo scorso 30 ottobre in occasione della Giornata dedicata allo sperpero del cibo. “In Italia ogni giorno viene buttato il 40% della frutta, della verdura e della carne”.

    I tempi del ritiro
    Il problema dei cibi “come spazzatura” non arriva solo dalle famiglie ma anche dagli stessi supermercati che ogni giorno buttano decine di chili di cibo con data di scadenza imminente: sono proprio le grandi catene come Conad e Coop a seguire un iter scrupoloso che riguarda la gestione dei prodotti in scadenza. Solitamente la merce viene ritirata dagli scaffali almeno tre giorni prima, a prescindere dal tipo di durabilità. È proprio quest’ultima peculiarità l’annosa questione a cui accenna anche la stessa Lega dei Consumatori di Rimini: “Attenzione alle date di durabilità di un prodotto: una perentoria con la dicitura «entro» e una più flessibile «da consumarsi preferibilmente entro»”.
    In questo senso i rivenditori prima di togliere del tutto un prodotto dagli scaffali, possono liberamente decidere di fare ulteriori sconti, promozioni e ribassi. In realtà, i grandi magazzini non hanno l’obbligo di non vendere prodotti scaduti: la direttiva europea giunta in Italia con il decreto legislativo n.109/1992 ammette la vendita di alimenti non deperibili oltre la data di scadenza. La responsabilità ovviamente ricade sul venditore qualora dovessero verificarsi degli incidenti. Ma spesso le quantità di prodotti da gestire sono così tante che nessuno si assume il rischio di mettere sui banchi merce “pericolosa” per la salute.
    “Mano a mano che si avvicinano le date di scadenza, di solito due settimane prima, richiedo all’azienda la svalorizzazione del prodotto, una modalità consueta per vendere il prodotto a prezzi più bassi”, spiega una responsabile del reparto della Coop Celle.

    Che fine fa l’invenduto?
    Ciò che rimane dell’invenduto, viene restituito ai fornitori, oppure nei casi peggiori, buttato via. Stessa dinamica registrata al Conad sotto la Coin e al Conad del Mercato coperto. Nei giorni che anticipano la scadenza viene effettuato un taglio-prezzo del 50%, soprattutto sulla merce facilmente deperibile come la carne oppure come le verdure, le patate, i carciofi, i limoni ecc… Stesso trattamento avviene al banco del pane-pasticceria: brioche, ciambelle, focacce, panini non più soffici come appena sfornati, a fine giornata vengono scontati e di solito venduti tutti in poco tempo. Una volta svolto questo primo step mirato al recupero, si passa al secondo. Le opzioni sono due: bidone o fornitore.
    In realtà c’è anche una terza opzione, quella delle mense dei poveri. Quest’alternativa, però, sono in pochi a sceglierla e tra questi c’è l’Iper Coop «I Malatesta», che “rifornisce” la Caritas e altre onlus. La Coop Adriatica ha, invece, messo in piedi il progetto “Brutti ma buoni”, un’iniziativa con l’obiettivo di donare alimenti in via di scadenza del tutto commestibili. Un volontario quotidianamente passa a ritirare l’intero carico: si tratta di frutta o verdure di stagione che esteticamente non allettano più il cliente, prodotti del banco frigo, dolci preparati da qualche giorno. Proprio grazie a questa catena alimentare la Caritas giornalmente sfama decine di bisognosi. Non solo. Questo contributo è una manna dal cielo per la famiglie che si recano in via Madonna della Scala per ritirare la loro busta della spesa con viveri di base.
    Sulla stessa frequenza d’onda è la pasticceria Tino di Rimini, in via IV Novembre, che da oltre 20 anni rifornisce l’Istituto Suore Maria Bambina del centro città. “Tutto ciò che non possiamo più mettere sul banco ma che è ancora buono da mangiare lo diamo alle suore che a loro volta lo offrono a chi ha più bisogno. Si tratta di brioche, biscotti secchi, paste senza la crema, insomma tutto ciò che non è deperibile nel giro di un giorno”. Anche il bar pasticceria Il Duomo, che si trova vicino il Mercato coperto, offre le sue prelibatezze alle suore di Sant’Onofrio. “Il giorno prima della chiusura settimanale raccogliamo tutto ciò che avanza, solitamente i lievitati sono i primi ad andare a male e li consegniamo all’istituto che si trova proprio di fronte a noi”.
    In questo panorama del riciclo qualcuno si spinge oltre: “Con un sistema efficace di riciclo, si potrebbe ridurre l’impatto sull’ambiente e sfamare persone in difficoltà”, sintetizza Luciano Morselli, docente di Gestione dei rifiuti, a Rimini. Ma per trasformare in sistema le iniziative di pochi (il Banco Alimentare, i Lastminutemarket dell’università di Bologna) servirebbero agevolazioni fiscali mirate.

    Marzia Caserio

    Nella foto, i volontari della mensa Caritas di Rimini che utilizzano prodotti in scadenza Ipercoop Malatesta (foto Gallini)