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Positivi, non “buonisti”

Alla comunicazione papa Francesco affida un compito importante, suggestivo: “ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello – annota il Papa nel suo messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali – vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia».
Scegliere con cura le parole… “Bastardi islamici” titolò un quotidiano, all’indomani degli attentati di Bruxelles. Titolo che trasmette obiettivamente un messaggio d’odio verso tutti i musulmani, anche quelli, e sono ancora la maggioranza per fortuna, che considerano i terroristi solo dei criminali (loro certo bastardi) che uccidono senza pietà persone innocenti.
Scrive il Papa: “Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti”. Il che non significa ovviamente rinunciare a chiamare il male con il suo nome o soffocare una santa indignazione di fronte alla ingiustizia. Gesù fece pulizia nel tempio di Gerusalemme cacciando con maniere spicce i mercanti dal sacro recinto e scagliò terribili invettive contro i farisei ipocriti, “sepolcri imbiancati”. Ma anche quando prendeva a frustrate i mercanti o esprimeva con franchezza il suo dissenso rispetto ai capi religiosi, era sempre un amore più grande a muoverlo. L’amore per la verità, l’amore soprattutto per i peccatori, per i poveri, i malati, insomma per gli ultimi, che la rigidità della legge sembrava escludere dalla salvezza. E loro, gli ultimi, che lo seguivano, percepivano anche nelle parole più severe di Gesù una forma di tenerezza, il desiderio quasi di proteggerli dall’arroganza del potere.
Tutti altri sentimenti rispetto a quelli che traspaiono in tanti blog del mondo digitale. Dove le sacre invettive lasciano il posto alla mondanissima rozzezza dell’insulto o alla palese, malata affermazione del proprio super-io.
C’è oggi un enorme bisogno di positività. Naturalmente chi ha il compito di informare non può nascondere le brutte notizie. Anzi, mai come in questo tempo confuso, c’è un dovere di spiegare, ad esempio, le vere cause di tanti  conflitti. Liberi da condizionamenti ideologici. Ma se ci limitassimo a raccontare quel che nel mondo non va, sarebbe davvero triste accendere la tv o acquistare un giornale. Che fare? Raccontare le tante storie belle di lavoro, di gratuità, di perdono, di carità sociale che – nonostante la crisi e in mezzo alla crisi – fioriscono nel nostro territorio. Dare spazio, nell’inferno, a ciò che inferno non è.
È ciò che ogni settimana cerchiamo di fare.