Home Editoriale “Piena occupazione” non è una bestemmia

“Piena occupazione” non è una bestemmia

In occasione del 1° maggio, il presidente della Repubblica, invitandoci a tornare a pronunciare insieme le parole “piena occupazione”, ha denunciato i pericoli di una società fondata sull’esclusione, dove egoismi e difese corporative, frenando e aggravando le iniquità, lacerano il corpo sociale e il tessuto democratico, minando la coesione sociale. Sono parole che fanno proprio l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa sul lavoro. Il modello di sviluppo umano integrale proposto dalla dottrina sociale (Dsc) offre una visione incentrata sul rispetto e sulla promozione della dignità dell’uomo in ogni campo della vita, a partire dal lavoro, “perché mediante il lavoro l’uomo, non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Laborem Exercens, 9). La Dsc c’insegna che il lavoro umano è occasione di realizzazione personale, sia quale strumento per soddisfare i propri bisogni, sia quale occasione per servire gli altri. Esso, dunque, “è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La piena occupazione è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune” (Compendio della Dsc, 288).

Nelle economie avanzate e fortemente competitive una cornice istituzionale in grado di accrescere la consapevolezza circa la dimensione sociale del lavoro è strumento essenziale per umanizzare i processi economici e per promuovere quell’innovazione necessaria per competere sui mercati globali. Una Repubblica fondata sul lavoro, che riconosca la centralità della persona quale principio cardine del proprio ordinamento, non può accettare inerme i costi sociali di un sistema economico e istituzionale incapace di guardare alla cooperazione umana e all’inclusione sociale come leve per lo sviluppo. In un contesto di socialità economica che travalica i confini nazionali, la risposta di una comunità politica che voglia perseguire il bene comune richiede istituzioni ordinate al principio di sussidiarietà e solidarietà; nonché, l’adozione di politiche tese ad offrire al lavoro umano protezione e promozione, da un lato, garantendo la libertà d’impresa e i diritti dei lavoratori e, dall’altro, promuovendo la piena occupazione, non ricorrendo a politiche assistenziali che mortificano e deresponsabilizzano il lavoratore, bensì, rimuovendo gli ostacoli e ponendo le condizioni istituzionali per un libero e responsabile esercizio della soggettività creatrice di ciascuno.

Fabio Angelini