C’è una storia che riguarda un periodo della Rimini calcio che è rimasta un po’ in ombra. Una storia che ha fatto parte della presidenza Gaspari, quella che portò i biancorossi per la prima volta in serie B. Gli anni sono i Sessanta, la squadra non aveva grandi mezzi, ma aveva buoni giocatori. Nel campionato ’63-’64 arrivò seconda nel girone B alle spalle del Prato. In quella squadra giocava Giorgio Perversi, cuore e anima di quel Rimini. Perversi che rimase legato per sempre alla società di cui fu anche allenatore in seconda per 9 anni, lavorando a fianco di gente come Meucci, Herrera, Bagnoli, Sereni e Sacchi. Indossò la maglia a scacchi fino a 34 anni.
“Mi potevano tenere ancora, nonostante non fossi più un giovincello me la cavavo bene, ma lasciai il posto a Guido Quadrelli, che era un giovane di Bellaria molto promettente”. Quando ripensa a quegli anni ricorda sempre un tecnico in particolare: Osvaldo Bagnoli. “Bagnoli è milanese come me, dovunque è andato ha fatto sempre bene: Fano, Cesena che portò in serie A, Verona, dove vinse uno Scudetto storico, al Genoa che portò in Europa. Beh, a Rimini lo trattarono a pesci in faccia, per dire che questa è una piazza difficile”. Il mediano lombardo apre l’album dei ricordi. “Erano anni in cui il Rimini navigava con fatica nel campionato semi professionistico, la vecchia serie C. I mezzi erano quelli che erano, anche per noi giocatori era dura, ci pagavano per dieci mesi all’anno, non avevamo la mutua, che era a nostre spese. Non era come adesso, però giocavamo con più passione rispetto a oggi. Il Rimini aveva dei buoni giocatori: Romano, Scardovi, Mangiarotti, Guizzo, Oltramari che poi andò al Foggia in cambio di Morelli, Nanni, che veniva dal Riccione e che andò al Venezia e poi giocò nel Verona, Bellinazzi, Testolina, De Marchi, Barbiani, Bernard, Mazzolini”. Perversi prende fiato un attimo e poi sfoglia ancora qualche pagina. “Anche il Cesena aveva una bella squadra. Mi ricordo di Castellani, Leoni, Annibale, Guglielmoni, Mascalaito, Badiani, Brunazzi. E poi c’era il Forlì, la Vis Pesaro in cui giocavano Seghedoni e Spimi, l’Anconitana. Noi, però, non eravamo meno di loro. La differenza fra noi e il Cesena, per esempio, è stata solo una: loro hanno avuto la fortuna di trovare la famiglia Manuzzi che entrò in società. Da quel momento le sorti dei bianconeri cambiarono radicalmente”. Il centrocampista biancorosso, poi, si sofferma sui campionati. “Erano durissimi, con fior fior di squadre. Penso alle toscane, per esempio, Livorno, Massese, Carrarese, Empoli, Prato, Pistoiese, Lucchese, Siena e Arezzo il cui presidente allestì uno squadrone, basti pensare che in attacco avevano Meroi e Flaborea, un lusso per la categoria. Tutte queste squadre, oggi, farebbero la loro bella figura con molte società di serie B. Però il mio Rimini, non lo avrei mai cambiato con nessuna delle altre squadre perché questa maglia, una volta che la indossi, ti rimane appiccicata addosso come una seconda pelle. E poi c’è la città, splendida. Ho deciso di vivere qui e dopo di me lo hanno fatto tanti altri calciatori perché Rimini è unica nel suo genere”.
Patrizio Placuzzi