Home Vita della chiesa Per sempre fratelli di un’umanità ferita e fragile

Per sempre fratelli di un’umanità ferita e fragile

Domenica 27 settembre 2015 alle ore 17.30 in Cattedrale, la nostra diocesi vivrà le ordinazioni di tre nuovi sacerdoti: don Andrea, don Simone e don Stefano. Chi sono questi futuri presbiteri?

Incontro i tre prossimi presbiteri della nostra Diocesi in un caldissimo pomeriggio di settembre, per sondare il loro cuore e il loro stato d’animo a pochi giorni dall’ordinazione. Per questi giovani uomini, il passaggio che si preparano a vivere rappresenta la méta di un lungo cammino di preparazione durato circa sette anni, tempo in cui si sono verificati sulle scelte, hanno approfondito i contenuti della fede, hanno imparato a vivere la comunità e reso sempre più solido il loro rapporto con il Signore. Ho avuto la fortuna di accompagnarli in tutto il loro cammino, fin dal giorno in cui si sono affacciati sulla porta del seminario condividendo con me ciò che avevano intuito nel loro rapporto con il Signore.
Rivolgo loro qualche domanda per comprendere cosa si agita nel loro intimo, come stanno vivendo questi ultimi giorni di attesa e su cosa pensano di puntare, una volta ordinati presbiteri.

Qual è il pensiero dominante di questi giorni, mentre vi preparate all’ordinazione?
Stefano: vivo una grande pace interiore e molta gioia. Sono consapevole del dono che il Signore sta per farmi. Mi colpisce molto anche l’affetto di tante persone che si sentono partecipi di quanto sto vivendo e mi garantiscono il loro supporto con la preghiera e la vicinanza; riconosco in loro il volto di una Chiesa che mi accompagna.
Simone: avverto una grande misericordia su di me; sento l’amore del Padre che mi ha chiamato a vivere questo ministero. L’anno del diaconato è stato molto intenso proprio come condivisione di questa misericordia e l’ho sentito come una via autentica verso il sacerdozio.
Andrea: vivo un grande desiderio di diventare prete e la percezione che sia qualcosa che è proprio per me. Sono consapevole della grandezza di questo dono, una grandezza tale che non si riesce a cogliere nella sua interezza. Vivo un grande stupore per il fatto che Dio abbia pensato a questa vocazione proprio per me.

Si dice che ogni “chiamato” sia portatore di un messaggio particolare da parte del Signore per la comunità dei credenti e per il mondo. Qual è la Parola di cui ti senti chiamato a farti portatore?
Simone: dalla mia esperienza di vita, sento che il messaggio più importante è che la fragilità dell’uomo è il luogo concreto in cui incontriamo Dio, dove facciamo l’esperienza dell’incarnazione e della risurrezione del Signore.
Andrea: la Parola più importante di cui voglio farmi annunciatore è che Gesù è la Verità e che la Verità rende liberi; che Gesù è il senso di tutto quanto viviamo.
Stefano: mi sento chiamato ad annunciare il vangelo della comunione e dell’unità, raggiunta attraverso la preghiera e l’attenzione ai più feriti; una comunione che si costruisce imparando ad accogliere ciò di cui l’altro è portatore prima di preoccuparsi di dare ciò che porto io.

Concretamente, tra le tante cose che un prete è chiamato a fare nella sua giornata e nella sua settimana, a cosa pensate di dover dare una priorità?
Andrea: penso che la mia priorità sia custodire la relazione con il Signore nella celebrazione della Messa e nella preghiera e vivere una relazione intensa con le persone incontrate attraverso il ministero, con tutto ciò che il ministero comporta.
Stefano: vedo molta umanità ferita intorno a me; voglio mettermi in contatto con quelle ferite e cercare di portare la presenza del Signore accanto a queste persone, attraverso la Parola e i sacramenti.
Simone: credo che le priorità siano: stare nella fragilità delle persone, la cura del silenzio e della preghiera, la fraternità con i preti e con altri che il Signore mi pone accanto, la celebrazione dei sacramenti.

L’ordinazione presbiterale è per sempre, caratterizzerà la vostra vita fino alla vostra morte. Anche se è difficile, vi chiedo come vi vedete da qui a venticinque anni?
Simone:vivo la speranza di avere ancora intorno a me dei piccoli che sono la sola la garanzia di una vita vissuta nel Signore e sono i primi che si allontanano se la tua vita è banale.
Andrea: tra venticinque anni so che presiederò l’eucaristia, annuncerò il Vangelo e servirò una comunità; so che sarò impegnato perché altri possano incontrare Gesù e crescere nell’amore, vivendo una fraternità concreta.
Stefano: mi auguro di essere un uomo totalmente donato e innamorato del Signore. Mi auguro di essere come san Paolo: un apostolo che si dona totalmente perché altri possano crescere e far giungere a maturità il loro Battesimo.
Ad un giovane o a un amico non tanto abituato alle “cose di Chiesa” che ti chiede: “Ma chi te lo fa fare!?”, tu cosa risponderesti?
Stefano:
che è il Signore che mi chiama a vivere questa esperienza; questa è l’unica prospettiva per poter leggere questa cosa che mi accade. So che è lui che mi chiama e vivo in me la certezza che non sarò deluso dall’aver accolto il suo invito e la sua chiamata.
Simone: direi che io mi sono sentito amato dal Signore e rispondere a questa chiamata diventa un modo concreto per corrispondere a questo amore. Desidero fare della mia vita un dono, ed in questo dono di me stesso trovo la verità di me stesso. È una cosa molto bella… poi a questo amico direi: “vieni e vedi, se vuoi”.
Andrea: che vivo un forte desiderio di rispondere all’amore che ho ricevuto; mi sono sentito amato e ho ricambiato quell’amore. È la stessa cosa che accade tra due persone, direi quasi un processo naturale ed evidente per chi lo vive, ma non facilmente spiegabile per chi ne è estraneo. È come chiedere ad un ragazzo perché si è innamorato di quella particolare ragazza: può provare a spiegarlo, ma solo lui lo può capire veramente.

La nostra chiacchierata sta per concludersi, ma voglio dare ancora spazio ad una domanda che lascio volutamente aperta. Quali sono i vostri auspici nell’immediato? Cosa desiderate? La riposta non è stata concordata, ne’ preparata in antecedenza e mi stupisce (e mi consola) che sia unanime.
Che cresca la comunione nel presbiterio perché la nostra azione pastorale non sia da liberi battitori, ma il frutto di una carità fraterna che diviene la prima testimonianza evangelica che possiamo dare alla gente e al mondo. Che possiamo fare un’esperienza di fraternità autentica con gli altri preti, costruendo relazioni che vadano oltre i livelli istituzionali.
Al presbiterio sta di accogliere questo invito che viene da questi nuovi fratelli che ci prepariamo ad abbracciare, accogliendoli nella nostra comunione ministeriale, nella prossima domenica.

Don Andrea Turchini