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Padroni o custodi?

Dopo i giorni feriti dalle parole arroganti, “urlate” e scagliate come lame nell’agone della “rissa” e della strumentalizzazione politica, finalmente le parole sussurrate del nostro vescovo Francesco Lambiasi restituiscono alla dolorosa vicenda di Eluana Englaro la pacata densità della meditazione e della faticosa ricerca di senso alla quale siamo tutti chiamati. Su questioni così decisive e drammatiche riguardanti il “confine” dell’esistenza, la “soglia” tra la vita e la morte, ogni contrapposizioni ideologica appare ingiusta e banale. Piuttosto siamo provocati a riscoprire le sorgenti del senso e della speranza proprio nel momento in cui esse sembrano inattingibili. Di fronte alla sofferenza, alla malattia, alla sventura… scorgiamo la presenza dell’indicibile mistero di grazia e di amore che, paradossalmente, ci fa visita nelle forme dell’estrema debolezza, quelle forme che il mondo ripudia. L’intensa Lettera aperta che il nostro Pastore rivolge “a quanti non vogliono rinunciare a pensare”, non interviene esplicitamente sulle questioni giuridiche e politiche dell’attuale dibattito sul “fine vita” e sul “testamento biologico”, ma si sofferma con vigore profetico e sapienza evangelica soprattutto sulle grandi sfide antropologiche che la vicenda ha fatto esplodere: siamo “padroni” e arbitri insindacabili della nostra vita e di quella altrui, o piuttosto i “custodi” della creazione, di ogni vita? Possiamo considerare la vita una nostra “proprietà” o invece un “dono” che precede e segue ogni esistenza? All’antropologia dell’immanenza che fa dell’uomo un essere “assoluto”, “sciolto” da qualsiasi legame con qualcosa e con qualcuno, che pretende una libertà illimitata, si contrappone un’antropologia della trascendenza per la quale l’uomo trova la sua dignità e grandezza nel riconoscersi frutto e segno dell’amore donante di Dio, con la vocazione di rispondere in coscienza e libertà al suo disegno. In questa prospettiva tesa a riscoprire l’esigenza di morire con dignità umana e cristiana, come mostra con efficacia la Lettera del Vescovo, l’esperienza di fede può incontrarsi con la saggezza umana e la riflessione razionale, testimoniando come sia possibile affermare la verità nella carità.

Natalino Valentini