Per il festival “Il Belcanto Ritrovato” prima esecuzione moderna dell’opera di Giovanni Pacini Amazilia
FANO, 23 agosto 2020 – Dimenticare il politicamente corretto. Nei versi di Giovanni Schmidt (noto soprattutto come autore di alcuni libretti per Rossini), le due tribù di nativi che durante il sedicesimo secolo vivono nella terra di confine tra Florida e Louisiana vengono chiamati, senza mezzi termini, «selvaggi». Nel 1825, del resto, nessuno trovava disdicevole tale definizione, e meno che mai nel regno borbonico di Napoli, dove si tenne la prima di Amazilia: musica di Giovanni Pacini, che illustra una contesa politica e amorosa destinata a concludersi con un accordo – ragionevole e incruento – tra le due tribù belligeranti. Il tutto, beninteso, grazie all’intervento dei dominatori spagnoli, che colgono l’occasione per ribadire la loro supremazia in fatto di civiltà. Pazienza poi se altri dettagli non quadrano, a cominciare dalla collocazione geografica: le due regioni coinvolte sono assai distanti fra loro, e pure l’area d’influenza spagnola non arrivava così a nord.

Nonostante qualche limite del libretto, comunque, fin dal suo apparire sulla scena, Amazilia fu un grandissimo successo, al punto da avere al San Carlo più repliche di certi titoli rossiniani. E la stessa cosa accadde quando venne revisionata – nonché scorporata in due atti – per il Teatro di Porta Carinzia a Vienna, di lì a non molto. Poi, come spesso è successo a molti titoli dello sterminato patrimonio operistico di quegli anni, su Amazilia è calato l’oblio, salvo essere usata come serbatoio per arie ‘di baule’. La ritroviamo, in anni più recenti, nella leggendaria edizione dell’Assedio di Corinto diretta da Thomas Schippers (disco EMI, 1974), dove il soprano Beverly Sills utilizza la grande aria della protagonista in aggiunta a quella scritta da Rossini.
La quarta edizione del festival Il Belcanto Ritrovato – che da Fano s’irradia fino a includere adesso anche Urbino – è interamente incentrata su Pacini, così come negli anni passati protagonisti erano stati quegli autori vissuti quasi negli stessi anni di Rossini o di poco successivi. Clou della manifestazione, ovviamente, è stata la prima ripresa in epoca moderna di Amazilia (nella revisione critica curata da Gianmarco Rossi), a distanza di due secoli esatti dal debutto napoletano. In realtà la versione proposta al Teatro della Fortuna era quella realizzata dallo stesso Pacini per il palcoscenico del Kärntnertortheater nel 1827, dove – per andare incontro alle esigenze del pubblico viennese – aveva aggiunto una sinfonia, un duetto tra soprano e baritono e una seconda aria per il tenore, che acquisiva, così, il ruolo effettivamente protagonistico. Si è trattato di una riscoperta piacevolissima per la qualità della musica, oltre tutto molto ben valorizzata dall’esecuzione. E, seppure l’opera sia stata eseguita in forma semiscenica (coordinamento visuale di Laura Mungherli), con interpreti a leggío mentre sul fondale si alternavano proiezioni, non si è trattato di una scelta penalizzante: ha permesso, anzi, di concentrarsi meglio su pagine sconosciute, grazie pure al prezioso ausilio dei sopratitoli.
Fin dalla sinfonia, il direttore Enrico Lombardi è riuscito a sottolineare l’espressività melodica della musica: dall’Orchestra Sinfonica Rossini ha ottenuto sonorità sempre scorrevoli e ben appiombate, mostrando una buona capacità di gestire le dinamiche sonore e soprattutto garantendo un efficace equilibrio tra buca e palcoscenico, in modo da mettere gli interpreti a loro agio. Il soprano Paola Leoci, reduce del recente successo al ROF nella Cambiale di matrimonio, ha affrontato la vocalità di Amazilia con precisione e rigore musicale, sfoderando nella sua grande aria (quella sopravvissuta quando l’opera è uscita di repertorio) un piglio da autentica primadonna. Accanto a lei, il tenore Manuel Amati – in una parte concepita per il leggendario David – si è destreggiato come meglio ha potuto, reiterate ascese sopracute incluse.
Ma la scrittura più interessante Pacini la riserva forse a Cabana, il capo dei selvaggi della Florida. Il ruolo (nato per il grande Lablache), fitto di colorature, è per ‘basso cantante’ e dunque oggi sostanzialmente per baritono: Giorgio Cauduro lo ha interpretato sempre con grande convinzione ed espressività. Corretto e incisivo nel piccolo personaggio del saggio Orozimbo, fratello di Cabana, il basso Mariano Orozco, mentre in quello di Mila, amica della protagonista, si è fatta apprezzare il soprano Noemi Umani, sempre molto partecipe e puntuale nei suoi interventi. Completava il cast, nei panni del comandante spagnolo che contribuisce a siglare l’accordo fra i contendenti, il tenore Michele Galbiati. Ottimo infine, nonostante il numero ristretto, il contributo dei coristi del Teatro della Fortuna, preparati da Mirca Rosciani: anche loro sono stati un tassello risolutivo per il successo della serata.
Giulia Vannoni





