Home Vita della chiesa Pace: dire “a me che importa” è contraddire il Vangelo

Pace: dire “a me che importa” è contraddire il Vangelo

“Non più schiavi , ma fratelli” recita lo striscione con cui una decina di ragazzi africani del progetto Sprar (richiedenti Asilo) stanno aprendo la Marcia per la Pace che da quattro anni si svolge a Rimini il primo giorno dell’anno. È il titolo e il tema del messaggio di papa Francesco per questo inizio 2015, messaggio che, nelle parrocchie dei capoluoghi di Comune, i parroci hanno consegnato ai Sindaci.
La Marcia è proposta dalla comunità Papa Giovanni XXIII e dal Coordinamento dei gruppi per la pace. Aderiscono il Masci (che porta la fiamma di Betlemme), i Focolarini ed altri gruppi e associazioni. Poco dietro un altro striscione in inglese e italiano, portato dagli ospiti stranieri dell’Hotel Royal di Cattolica (fatto oggetto nei giorni scorsi di contestazioni da gruppi di estrema destra), appare fin troppo dolce rispetto alla denuncia del Papa:“400 anni fa gli occidentali aprirono questa strada per l’Africa, portarono i nostri avi in occidente illegalmente. Adesso abbiamo bisogno della loro protezione”. Qualcuno con giusta malizia nota che al posto di “portarono” era più corretto scrivere “deportarono”…

L’appuntamento è per le 15, ma la gente si aggiunge nel percorso ai partecipanti alla marcia fino alle 17, quando il cammino si conclude davanti al Duomo. Difficile quantificare il numero di chi ha scelto di marciare, perché molte persone si aggregano, ma scelgono di fare solo un pezzo di strada insieme al corteo, anche perché Il freddo è intenso. Ci sono giovani e anziani, famiglie e immigrati.
Brani del messaggio del Papa segnano il cammino e la riflessione. Sono parole forti “Penso alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente”. A dare carne a queste parole la testimonianza di un giovane africano che racconta il lungo cammino, attraverso privazioni, minacce, verso una terra di libertà. Quest’anno il percorso della marcia è essenziale. Da san Nicolò alla stazione, a piazza Tre Martiri, poi piazza Cavour. La accompagnano canti che intendono “accendere la Pace”. Sono per lo più spirituals e canzoni del movimento pacifista internazionale. In piazza interviene Giorgio Beretta, della Rete italiana per Disarmo che introduce il secondo tema della marcia, quello più politico: la rinuncia alle armi.“La guerra è una follia”: il messaggio del Papa al Sacrario militare di Redipuglia risuona in piazza “A me che importa? È esattamente l’opposto di quello che chiede Gesù nel Vangelo”. Le tuonanti parole di papa Francesco sembrano una citazione de l’ “I care” ( a me importa) di don Milani… “Occorre saper scegliere la Pace anche con dei no” dice Antonio De Filippis, fra gli animatori di Operazione Colomba.
Il corteo riparte: via Sigismondo, via Garibaldi, poi di nuovo piazza Tre Martiri, ormai ricolma di riminesi in passeggiata che guardano senza troppo capire quel che accade. Conclusione davanti al Duomo “per abbracciare lo stesso Padre”. Gli interventi del vescovo Francesco e della vicesindaco Gloria Lisi sono brevi. Il freddo ha decimato i partecipanti, riscaldati, ma solo nel cuore, da un canto e da una danza africana, al ritmo dei tamburi. “Se siamo qui è perché crediamo che è possibile vivere da fratelli. – dice mons. Lambiasi – Perché siamo figli dello stesso padre. Lui è padre e non ci vuole schiavi, neanche di Dio, ma figli, quindi fratelli fra di noi. Quattro le condizioni come le lettere che compongono la parola : p come pasqua; come alleanza, io e te insieme, il noi; c come convivialità, le differenze possono convivere come in un coro che ha voci diverse; e com esodo, cammino, Dio è sempre in cammino. Un sogno fatto da uno solo – ha concluso il Vescovo – è un ‘utopia, un sogno condiviso si trasforma in profezia”.

Giovanni Tonelli