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Oslando Geri: l’inventore di San Leo

Oslando Geri: l’inventore di San Leo. È lui uno dei protagonisti di Il profumo delle ginestre a cura di Pier Luigi Nucci (Pazzini Stampatore Editore), testo raccolta delle vite di illustri “strani” romagnoli. Di Alfredo Grilli, il virtuoso della fisarmonica abbiamo già detto (il Ponte n. 6, 20 gennaio) ora ci occupiamo di Oslando l’inventore… e non solo.
A scrivere e raccontare è Laura, ultima dei dieci figli di Oslando e Lilia, questo il nome della moglie dell’illustre di San Leo. Laura, che vive a Roma, narra attraverso le carte, i documenti e i ricordi di questa straordinaria vita.

Un destino non segnato
Era il ricco del paese. Il paese era Montemaggio di San Leo. Il periodo quello a cavallo tra il 1800 e il 1900. Oslando, infatti, nasce nel 1890. A seguire le orme del padre sarebbe stato “condannato” a fare il possidente e occuparsi dei poderi di famiglia e del vino in essi prodotto. Ma Oslando non voleva seguire le orme del padre e per liberarsi del suo ruolo di “padrone” del podere fece anche il concorso alle poste di Montemaggiore e lo vinse pure. Ma quello non sarebbe mai stato il suo posto, rifiutò il rispettabile impiego perché in lui stava nascendo il “germe” dell’ingegno. Così anche il padre si arrese e andava dicendo a parenti e amici: “perché non studia e brevetta una macchina per battere il grano, un torchio per il vino, una motozappa?”. Ma i macchinari agricoli non erano la sua passione anche se “l’inventare” era il centro della sua vita, la sua spinta vitale.

In principio fu la bicicletta truccata
La prima invenzione di Oslando fu una necessità. Egli, infatti, terminò il liceo a Roma al “Maniani” e per le vacanze quando tornava a casa e poi di nuovo a Roma, viaggiava sempre in bicicletta. “Tutto nasce da quei viaggi. Iniziò a studiare come fare per non faticare in salita. Si fabbricò da solo delle moltipliche, così le chiamava, e le applicò alla sua bicicletta. Queste gli permettevano di faticare di meno nei suoi lunghi viaggi. Ed è stata quindi la sua esigenza, ad aguzzargli l’ingegno, poiché non mancandogli nulla, l’unica cosa che non aveva e che avrebbe voluto era qualcosa che nessuno possedeva perché non esisteva. Per questo bisognava pensarla e inventarla”, scrive Laura nel ricostruire la vita del padre.

Il “furto” di Stato
Nel tempo Oslando avrebbe brevettato molte cose. Una “macchina” in particolare vivrà una vita intricata e molto lunga. Stiamo parlando dell’Autocarro d’assalto anfibio per azioni offensive e difensive. In merito, Laura scoprirà presso l’Archivio di Stato a Roma che le carte di quel brevetto si sono perse e saprà in seguito: scelto e studiato dal Ministero della Guerra.
Oslando non lo seppe mai, però. Anzi nel tempo cercherà le carte “perse” di quel brevetto. Non seppe mai che lo Stato “in persona” si appropriò di un suo brevetto. A detta di Laura: “Sarebbe stato felice di contribuire con le sue idee al benessere del Paese gratuitamente, non era attaccato ai soldi”. In realtà Laura, saputo del Carro d’assalto e della documentazione sparita a Roma si lascia aiutare dalla sorella per capire se ci fossero elementi tutti “familiari” da aggiungere a quella vicenda. E qualcosa, in effetti, esce fuori. Esce fuori che Oslando quei documenti li cerca per anni, almeno sino al 1975. “Era convinto che (quella sparizione, ndr) fosse dovuta a incuria degli impiegati, i quali non sapevano dare spiegazioni sulla scomparsa dei documenti e li denunciò. Ma finì tutto in un nulla di fatto”.
In realtà l’espropriazione per la Difesa militare del Paese e per la causa di pubblica utilità era già in vigore dall’11 dicembre 1926 (Legge n. 2336) quindi non si può in effetti parlare di furto “di Stato”.

Passione o ossessione?
Nell’intimo viaggio nella vita del padre Laura si rende presto conto della sua “ossessione” per le ruote. In ogni brevetto sceglieva con cura quella che riteneva più giusta, a caccia di quella che nessuno aveva ancora inventato. L’idea che si è fatta la figlia è che tutto nascesse da quella bici truccata che da Roma portava a casa. Si legge: “Un brevetto può nascere da un sogno? Un’idea può nascere da una fatica? Ho notato che c’è una cosa che accomuna alcuni brevetti di papà: la particolare cura nella scelta delle ruote. Cercava una ruota diversa. Perché? (…)Ricordo quando lui raccontava la fatica di attraversare il torrente Mazzocco a guado, all’inizio del secolo. Io là ci vedo lui ragazzo che parte da Roma in bicicletta. Lo vedo arrancare in salita e pensare alle moltipliche. Per tutto il lungo viaggio sogna di vedere il fiume Mazzocco che lo fa sentire a casa. Spera di trovarlo asciutto e invece no; deve affrontare il disagio di attraversarlo a guado. Secondo me questa idea è nata in lui da ragazzo e lo accompagnerà in diversi suoi brevetti. Ci vedo le sue fatiche. Cercava una ruota che potesse galleggiare e attraversare qualsiasi terreno: palude o territorio lunare, che non ti facesse scendere dal mezzo meccanico; cosa non piacevole specie in inverno. Lo immagino guadare, trascinando la sua bici, o caricata sulla spalla. Non gliel’ho mai chiesto, peccato, ora sono curiosa. Finchè papà è vissuto ero poco interessata a tutte queste cose; ora quasi giornalmente ho delle curiosità, delle domande che vorrei fargli. Che c’entra con i suoi brevetti? Per attraversare un fiume basta un ponte; ma una ruota simile sarebbe stata utile per tante altre soluzioni. È chiaro, non serve per la bici, ma per un «apparecchio anfibio di volo con decollo anche su terreni accidentati» sì”. Oslando e la sua vita da inventore!

Angela De Rubeis