Home Attualita “I nostri 40 anni di Casa Famiglia”

“I nostri 40 anni di Casa Famiglia”

Dagli anni Settanta, rivestono il ruolo di mamma e papà, accogliendo schiere di ragazzini in difficoltà. Manuela Bosi e Attilio Palazzini, 64 anni lei, 72 lui, continuano a portare avanti la loro missione nella casa famiglia della Papa Giovanni XXIII di San Lorenzo, a Riccione, che quest’anno festeggia il suo quarantesimo Natale. Tanti sono gli anni trascorsi da quando nella prima casa colonica di viale Veneto, su iniziativa dei sacerdoti della parrocchia, don Piergiorgio Terenzi, don Agostino Giungi e don Giovanni Tonelli, si sono spalancate le porte ai primi bimbi. Come racconta Attilio, è una storia imbastita nel tempo con amore, determinazione e fede. Intenso il lavoro portato avanti con i minori, ma anche quello svolto nei confronti dei genitori, che ha favorito il rientro in famiglia della stragrande maggioranza degli ospiti.
Quando e come è iniziata quest’avventura?
“Mia moglie ha iniziato nel 1974. Coinvolta da don Oreste Benzi, mentre cercava lavoro, dopo tre quattro mesi di volontariato diurno, come mamma, è andata a vivere in casa famiglia in pianta stabile. Ci siamo poi conosciuti, ho cominciato ad aiutarla, finché nel 1983 ci siamo sposati e anch’io sono andato a vivere in casa famiglia dove abbiamo sempre vissuto, tranne un periodo di pausa che ci siamo concessi, perché avevamo bisogno di un po’ di riposo”.
Dov’eravate?
“All’inizio in una vecchia casa colonica alla Grotta Rossa. Eravamo in diciassette. L’abitazione era fatiscente, così dopo un anno ci siamo trasferiti nella mia casa a Croce di Montecolombo, dove siamo rimasti fino al 1992. Pian piano i nostri ragazzi hanno trovato tutti una sistemazione, sicché io e Manuela abbiamo colto l’occasione per fermarci un po’ e restare soli con i nostri due figli, Giulia e Angelo che ora hanno rispettivamente 33 e 30 anni, e un terzo preso in affido”.
Poi l’approdo a Riccione.
“Nel 2002 ci siamo trasferiti nella casa famiglia di San Lorenzo, dove ci troviamo tuttora. In questi diciassette anni abbiamo accolto oltre 105 ragazzi. C’è chi è rimasto solo per qualche mese e chi per due/tre anni. Oltre il 90 per cento di loro è tornato in ambito familiare, anche con nonni e zii, perché abbiamo lavorato tantissimo sui genitori, cercando di aiutarli. Tre giovani, diventati maggiorenni, hanno trovato occupazione e sono andati a vivere da soli, altri quattro sono stati presi in affido”.
Quali minori avete seguito in questi decenni?
“Abbiamo avuto tanti ragazzini, anche africani, soprattutto dello Zambia, in parte mandati dalla dottoressa Marilena Pesaresi. Alcuni erano malati di cuore, altri avevano bisogno di protesi, arrivavano qua per essere curati e operati al Rizzoli. Noi li ospitavamo per il tempo necessario”.
Adesso chi fa parte della vostra famiglia?
“Ora che siamo avanti con gli anni, l’Ausl ci affida maggiormente i ragazzi, a volte con grossi problemi, difficili, privi di autonomia, che aiutiamo a crescere. Al momento accogliamo due ragazze e una mamma. Rispondiamo comunque a tutte le esigenze che ci vengono richieste, fungendo da appoggio”.
Dopo tanti anni, avete ancora forza?
“Io mi occupo di più delle commissioni, dei rapporti. Il grosso dei lavori in casa lo svolge Manuela: lava (la lavatrice va notte e giorno), stira, fa i letti e cucina per sette, otto persone, sabato e domenica anche per i genitori”.
Una vita spesa per gli altri. Da dove arriva tutta questa energia?
“Parte da una scelta iniziale, scaturita dal nostro intimo, consapevoli di non essere soli, perché in ogni momento sia necessario, sappiano di avere il sostegno della Papa Giovanni XIII. Non è facile, ma quello che aiuta molto è lo stare vicino al Signore. A sostenerci è la fede e la comunità, che anche a mezzanotte, in caso di bisogno o difficoltà, è sempre pronta ad aiutarci con la sua rete”.
Che rapporto c’è con la parrocchia?
“I legami sono sempre stati forti. Ora, però, c’è il problema delle nuove normative sui controlli, per cui le porte, anche ai volontari, non possono essere più spalancate come una volta, in modo spontaneo, va tutto registrato. Oltretutto avendo ragazzi del territorio, c’è bisogno di maggiore privacy, perché loro stessi, essendo del posto, chiedono riservatezza. E poi ci sono casi complicati, basti pensare che una ragazza veniva seguita da tre avvocati. Il rapporto con la parrocchia si è quindi evoluto, ma è sempre buono, tant’è che faccio parte del Consiglio pastorale”.
Nives Concolino