Xu, 50 anni, viene da Zhejiang Yongjia. È arrivato in Italia nel 1998 per vedere se c’era la possibilità di aprire un’attività commerciale. Aveva già provato a uscire illegalmente da Hong Kong un anno prima, insieme alla moglie, ma senza successo. Un anno più tardi ci ha riprovato munito di visto regolare per “visita aziendale”. Dopo aver fatto tappa in Francia, è venuto in Italia e ha fatto domanda per il permesso di soggiorno. “Ho iniziato subito a lavorare nelle fabbriche di abbigliamento della Romagna – racconta – In Cina avevo fatto tanti lavori, dal muratore all’autista, dal piccolo commerciante al contadino”. Non senza problemi: Il paese di provenienza di Xu si trova, infatti, in un luogo prevalentemente collinare e l’ambiente naturale non è adatto per la semina di massa del raccolto. In tanti, come lui, hanno scelto di andare a lavorare fuori, dopo l’apertura dei confini. “In Italia, come negli altri paesi sviluppati dell’Occidente, il guadagno è maggiore, ecco perché anch’io ho scelto di trasferirmi qui per realizzare il mio sogno”.
Tuttavia, per un comune ex contadino cinese come lui, organizzare il trasferimento all’estero e ottenere il visto ha voluto dire sborsare più di 100mila yuan (più di 10mila euro, per intenderci) una cifra ben al di sopra delle sue possibilità. “Ho dovuto chiedere denaro in prestito ad amici e parenti ma per fortuna, a differenza di altri, non sono mai caduto nella trappola dell’usura. A molti miei connazionali succede”. La tentazione di fare soldi in un paese straniero è grande. Ma iniziare una nuova vita all’estero è anche un azzardo. “Mi ci sono voluti tre anni per ripagare tutti i debiti – prosegue dal bancone del negozio di barbiere che gestisce a pochi passi dal Tempio Malatestiano di Rimini -. Sono in Italia da 14 anni e sono sempre stato attento ad ogni centesimo, ho sempre avuto a cuore i frutti del mio lavoro, non ho mai acquistato abbigliamento in un negozio Italiano perché costava troppo!”.
Il suo sogno era quello di ampliare la casa in Cina. “L’anno scorso ci sono riuscito: la casa era su un piano, l’ho portata a cinque”. E pensare che non ci abita nessuno. Un motivo però c’è: per i cinesi che sono andati a lavorare fuori è molto importante far vedere ai connazionali che stanno guadagnando bene. “È come dire ai parenti, amici e vicini di casa che noi possiamo fare questo, è l’unico modo per convincere gli altri ad ammirarci”.
Xu ha due figli di 20 e 17 anni. Quando saranno diventati indipendenti, tornerà in Cina. “L’Italia non è il mio paese, una volta che avrò finito di lavorare non avrà più senso stare qui e poi è giusto che io muoia nel mio paese”. La stessa cosa la pensano tutti i migranti “dagli occhi a mandorla”. “Questa idea è parte integrante della nostra cultura”.
Difficile in questi anni è stato anche far capire ai due figli, anche loro in negozio, la rigidità con cui Xu si è sempre approcciato al lavoro. Sono arrivati in Italia quando erano piccoli e hanno assimilato più facilmente la cultura dei coetanei italiani. “Vorrebbero anche loro, ogni tanto, fare una vacanza e uscire con gli amici, insomma non solo sacrifici e non solo lavoro…”. E se è difficile spiegarlo alle nuove generazioni “dagli occhi a mandorla” figuriamoci agli italiani!
Francesco Wang