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No allo smartphone per la Prima Comunione

“Ci sono personaggi che, mettendo in atto modalità bulliste, diventano delle star, sono invitati ovunque, piacciono proprio per il loro modo di essere. Così i ragazzi si domandano: come posso diventare popolare? Il grande tema però non è «cosa fa spettacolo», ma come si diventa grandi guardando gli adulti. E se gli adulti che indicano percorsi sono senza il senso del limite…”. Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, da papà e da ricercatore chiama i genitori a un sussulto di responsabilità nella gestione familiare dei social media. Non per demonizzare, ma per evitare derive da cui gli stessi adulti non sono immuni.

L’incontro è organizzato dall’Anspi Betania di san Giovanni in Marignano all’interno del ciclo “Adolescenza, istruzioni per l’uso”. L’incontro con Pellai apre un ciclo che, attarverso film e dibattiti si conclude giovedì 29 novembre alle ore 21 presso il salone parrocchiale, con un incontro dal titolo “Permesso. Scusa. Grazie: alla scoperta di relazioni più autentiche”.

Pellai è molto conosciuto e stimato per le sue tante pubblicazioni e per aver condotto su Radio 24 il programma“Questa casa non è un albergo”. Dal 2010 scrive su Famiglia Cristiana nella rubrica settimanale “Essere genitori”.
Lo abbiamo intervistato.

Prof. Pellai, il fenomeno delle risse come delle corse coi motori, trasformate in evento grazie ai social cosa ci dice rispetto alle modalità con cui la Rete sta lavorando sulle relazioni?
“La Rete trasforma tutto in una sorta di reality show: si programma un agire che ha dei significati narcisistici, perché senza un pubblico, senza la struttura dell’annuncio, del luogo, dell’appuntamento – del “palco” potremmo dire – non avrebbe motivo di essere; serve a darsi un ruolo, una funzione. Da un lato dunque emerge un grande bisogno di trovare il senso di sé attraverso l’apparenza e dall’altro la non comprensione dei significati che sono associati alla violenza fisica o al pericolo. Ma la domanda che dovremmo farci è un’altra: i ragazzi dove l’hanno imparato che questo è il modo per avere visibilità e successo? L’hanno imparato proprio da quel sistema in cui si ributtano, facendo esattamente le stesse cose che hanno visto”.

Fino ai 16 anni prevale il “cervello emotivo”. Quali sono le dinamiche tipiche dell’adolescenza che i social intercettano e con le quali si sposano alla perfezione?
“Fino a 15-16 anni i nostri figli hanno un cervello emotivo che è molto più potente del cervello cognitivo. È la parte che ha bisogno e va alla ricerca di sensazioni forti, intense… Il sentire per gli adolescenti è prevalente sul pensare, per cui più facilmente si troveranno in condizioni che permettono loro di “sentire” la vita più che costruire valori e significati. Soprattutto se si trovano dentro una cornice culturale in cui oggettivamente la parte sentita e poco pensata fornisce popolarità.
Va detto che sono anche stati molto allenati nel loro percorso di crescita a pensare poco e ad agire tanto. Pensiamo alle dinamiche dei videogiochi: è tutto un click istantaneo, una mossa azione-reazione; lo schema di gioco non porta ad elaborare modalità complesse di pensiero, ma a stare in un ‘qui ed ora’ costante. È un mondo in cui le conseguenze non ci sono e tutto può essere fatto”.

A 9 anni le cellule neuronali sono in costruzione. Prima parlava di un “allenamento”: da noi almeno il 70% dei genitori, zii o nonni regala lo smartphone per la Prima Comunione.
“È terrificante: i bambini non sono pronti. È come mettere in mano una Ferrari a uno che ha appena imparato ad andare in bicicletta, lo diciamo di continuo ai genitori. Lo strumento è troppo complesso. Inoltre viene concesso e sdoganato da subito l’utilizzo in autonomia su tutto e per tutto, senza alcun genere di supervisione, sostegno, controllo e allenamento appunto.
Che allenamento ha un bambino di 9 anni a stare in un social in autonomia? Nessun genitore gli ha fatto fare un anno o due di ‘apprendistato’ in un gruppo social su un cellulare di famiglia, dove vede cosa fa il figlio e cosa fanno gli altri, insegna cosa serve e cosa no, cosa fa bene e cosa non fa bene”.

Tra l’altro ci sono dei limiti di età che i genitori sembrano ignorare completamente, sottoscrivendo loro l’account per i figli.
“Dovremmo imparare tutti a rispettare le regole. I videogiochi per esempio hanno un codice con il limite di età per cui sono consigliati, ma gran parte degli adulti se ne disinteressa. Un figlio vuole un gioco etichettato come ‘18+’? Il genitore glielo regala a Natale senza preoccuparsi: ce l’hanno tutti tanto, perché non lo deve avere lui?”.

Prima il click, poi il pensiero. Onestamente, se vediamo come noi adulti ci comportiamo sui social, non è che siamo tanto diversi dai ragazzi che critichiamo.
“L’on line è un territorio dove anche noi adulti siamo attivi con il nostro cervello emotivo. Ce lo insegnano le neuroscienze: prima arriva il click, poi il pensiero. Infatti molti di noi hanno la percezione chiara che forse sarebbe stato meglio non metterlo quel like, ma ce l’abbiamo solo dopo… Stiamo quindi tutti dentro la stessa fatica. Il vantaggio è che noi adulti abbiamo avuto una crescita che non è stata così immersa da subito nella funzionalità e istintualità che connota questi mezzi.
I nostri figli si immergono in questo mondo a 8-9 anni, ossia quando, tra l’altro, le loro reti neuronali sono in costruzione. Vuol dire che stanno formando il cervello che si porteranno avanti tutta la vita. Ma se lo strutturano in ambienti che sono fuori dal principio di realtà, di sicuro sono ancora più vulnerabili”.

La prepotenza come codice del mondo adulto attuale. Si fanno campagne contro la violenza, ma nei social la violenza non le pare sia stata sdoganata?
“C’è un codice in questo momento del mondo adulto che è la prepotenza. Basta guardare i talk show: la mancanza di un limite, di una autoregolazione dell’uso delle parole…
C’è una deresponsabilizzazione del mondo adulto verso la propria funzione di modello, di esemplarietà, che è quella su cui dovrebbe improntarsi la crescita dei ragazzi. Invece i giovanissimi non fanno altro che imitare i codici comportamentali che vedono in persone che hanno grande successo e popolarità. Nel momento in cui si domandano cosa significa avere successo, immaginano che quei codici siano facilmente utilizzabili, non che siano codici da confinare, limitare, regolare o addirittura da inibire”.

Il bullo è passato da esempio negativo a modello da imitare?
“Una volta si guardava i bulli e ci si chiedeva: ma come si fa ad essere così? In questo momento, le modalità bulliste di certi personaggi, che non hanno limiti né regole, li rendono delle star.
Il limite è un elemento cruciale per l’età evolutiva, ma i ragazzi rischiano di non acquisirlo. L’andare oltre diventa un parametro di riferimento. Senza contare che l’on line nasce come un territorio dove il limite non esiste: tutto è possibile, non c’è alcun presidio educativo, puoi usufruire di materiale per i maggiorenni senza alcuna percezione che sei andato oltre il confine”.

Barbara Sartori