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Mutter e la voglia di mettersi in gioco

Anne-Sophie Mutter e i Mutter's Virtuosi, PH Oscar Jankes

Al Festival di Turku successo per il concerto della violinista Anne-Sophie Mutter con l’ensemble dei Mutter’s Virtuosi 

TURKU, 23 agosto 2023 – Un perfetto meccanismo a orologeria. Che funziona magnificamente in ogni minimo ingranaggio, senza essere troppo algido o, meno che mai, prevedibile e scontato. Anzi, in grado di trasmettere un entusiasmo contagioso e assicurare il più completo divertimento.

La violinista Anne-Sophie Mutter, PH Oscar Jankes

Il concerto di Anne-Sophie Mutter – insieme al magnifico gruppo di giovani da lei fondato e sostenuto, i Mutter’s Virtuosi – ha acceso di entusiasmo gli spettatori che affollavano il Concert Hall di Turku, gremito fino all’ultimo posto, in occasione del festival che si tiene in agosto nell’antica capitale della Finlandia. Un risultato tanto più significativo perché questo pubblico educatissimo – mai il minimo rumore, neppure un colpo di tosse – ha seguito la serata in rispettoso silenzio e nel massimo coinvolgimento emotivo.

Il generoso programma, lo stesso che la Mutter e il suo ensemble propongono da qualche tempo nelle loro tournée, del resto, è molto ben impaginato e in grado di rivolgersi a tutti. A cominciare dalla scelta di due autori come Vivaldi (proposto anche nei bis), ossia la più alta espressione di quella civiltà violinistica capace di coniugare l’innovativa concezione strumentale all’estrema piacevolezza sonora, e di un gigante come Bach, a sua volta ben consapevole della lezione vivaldiana. Accostati a questi due compositori brani di autori dei nostri giorni e di un musicista poco frequentato, ma oggi in piena riscoperta, come Joseph Bologne, contemporaneo di Mozart.

La serata si è aperta con il Concerto in fa maggiore per tre violini, archi e basso continuo RV 551. Ad affiancare nel ruolo solistico la Mutter, due splendidi giovanissimi, componenti dell’ensemble: Timothy Chooi e Carla Marrero. Il gioco di riverberazioni che s’innesca fra i tre solisti procede con la massima scioltezza: all’esuberanza del primo movimento, ‘Allegro’, si contrappone così la cantabilità dell’‘Adagio’, che finisce per coinvolgere sempre più – nel terzo tempo, ancora ‘Allegro’ – l’intera orchestra in una vorticosa e trascinante gara di virtuosismo. Gli spettacolari effetti vivaldiani hanno poi lasciato spazio a due brani di Bach (si tratta di pagine quasi contemporanee fra loro), caratterizzate da quell’incessante ricerca armonica che ha contrappuntato l’attività del musicista tedesco: il Concerto in la minore per violino e orchestra BWV 104 – solista ovviamente la Mutter – e il Terzo brandeburghese in sol maggiore BWV 1048. Certo, da quando sono di moda le esecuzioni con strumenti antichi, e il ripristino di prassi esecutive sedicenti originali, ci s’interroga spesso sulle questioni filologiche. È un problema che non si pone nella lettura della Mutter e dei suoi giovani virtuosi, dove sembra contare soprattutto il risultato comunicativo: prevale il piacere di fare musica insieme e, altrettanto importante, è l’attenzione al suono. Dunque sonorità levigate, aeree, quasi immateriali, ma del tutto appaganti per chi suona e – di conseguenza – per chi ascolta.

Il programma comprendeva poi Nonet, nato nel 2014 su richiesta della stessa Mutter ad André Previn: una musica concepita per esplorare le possibilità timbriche degli strumenti coinvolti e che prevede un’organizzazione in due quartetti, con un suggestivo interludio affidato soltanto al violino e al contrabbasso (l’ottimo Roman Patkoló). Né si è trattato dell’unica incursione contemporanea: il secondo bis è stato una pagina del celebre compositore di colonne sonore John Williams e, pure in questo caso, si trattava di un brano espressamente concepito per la Mutter. La conclusione era invece affidata al Secondo concerto in la maggiore per violino e orchestra op.5, brano piacevolissimo che si discosta dallo stile galante per caricarsi di significati meno convenzionali. L’autore Joseph Bologne, Chevalier de Saint-Georges, è una figura piuttosto singolare per l’epoca – figlio di un francese e di una schiava di colore della Martinica – che ebbe un’ottima educazione musicale a Parigi, dove s’infiammò di ardore rivoluzionario.

Una serata, dunque, in cui tutto era ponderato con estrema cura: dalla scelta degli autori alla distribuzione dei ruoli nell’orchestra – rigorosamente metà uomini e metà donne – e alle provenienze geografiche dei componenti, in una visione che tiene conto delle profonde trasformazioni in atto nella società. Del resto, la voglia di mettersi in gioco di questa splendida sessantenne è tale da spingerla alla ricerca di una freschezza che si può ritrovare soltanto nei giovani. Tanto più se così bravi.

Giulia  Vannoni