Politica e diplomazia fra i giovani sono argomenti delicati: alcuni si limitano a seguire la situazione del proprio paese e le informazioni più superficiali e la maggior parte non ha un’opinione ancora ben definita. Ma c’è anche chi ne fa una passione, e le passioni meritano di essere coltivate. Perciò l’ONU, una delle organizzazioni più importanti al mondo, dà la possibilità ai giovani interessati di partecipare a un progetto che ne può cambiare le vite: il progetto MUN. La sigla sta per Model United Nations. Si tratta di vere e proprie simulazioni dei vari organi istituzionali, organizzate dall’ONU per i giovani, in cui studenti di varie fasce di età da tutto il mondo sostituiscono i diplomatici originali dell’organizzazione, il tutto all’interno della sede ONU a New York.
La testimonianza riminese
Ai MUN di quest’anno è riuscito a partecipare un giovane riminese: Nicolò, neodiciottenne, che ci parla della sua esperienza.
Prima di tutto, come nasce questa tua passione?
“Tutto è nato alle elementari, quando ho iniziato a notare che mi ricordavo le date con estrema facilità. Da lì ho iniziato ad appassionarmi alla storia: tornavo a casa e guardavo video e documentari… poi, con il passare del tempo, ho capito che la storia era strettamente legata alla politica. Ho iniziato quindi a fare vari approfondimenti e mi sono appassionato alla politica internazionale, specialmente alle interazioni fra paesi”.
Come sei venuto a conoscenza del progetto MUN e in cosa consiste?
“È stato grazie ad un mio amico: essendo a conoscenza di questa mia passione, mi ha raccontato dell’esperienza che lui aveva vissuto qualche anno prima e come iscrivermi. Mi ha spiegato che bisogna sostenere un’intervista: si può scegliere se farla in italiano o in inglese, e facendola in inglese è possibile ricevere una borsa di studio che copre una parte del costo totale. Io ho scelto quest’ultima opzione e sono riuscito a passare. Dopo poco tempo mi è stato assegnato un compagno, e insieme avremmo rappresentato un paese nelle simulazioni, assegnato casualmente. A noi sono capitate le Maldive. Poi, ci sono stati esposti i due ‘topic’, cioè gli argomenti che sarebbero stati discussi con la commissione nella simulazione. La mia commissione era la C-34 e trattava del peacekeeping in due diversi stati, il Sud Sudan e l’India. Il mio paese non c’entrava molto con gli argomenti, ma è stato quasi meglio: ho avuto la possibilità di esprimermi con più libertà, dando un’opinione anche più personale”.
E da lì come si è sviluppato il progetto?
“In vista del viaggio alla sede ONU di New York nelle prime settimane di marzo, da inizio gennaio avevo iniziato a seguire un corso di formazione. La prima parte del corso trattava soprattutto della storia dell’ONU come fondazione e il suo ruolo nella storia dell’ultimo secolo. La seconda parte invece spiegava come si sarebbe svolta la simulazione e cosa avremmo dovuto fare una volta arrivati in sede. L’ultima parte invece, a mio parere la più interessante, era guidata da due ragazzi americani che avevano già fatto l’esperienza e che oggi lavorano nel settore: ci hanno dato vari consigli non solo inerenti alla simulazione, ma anche per il futuro nel caso volessimo seguire una carriera di questo tipo. Prima di partire ho dovuto preparare un position paper, una sorta di biglietto da visita in cui dichiaravo la posizione e l’opinione del mio paese in merito ai vari argomenti. Molto spesso mi veniva chiesto dalle delegazioni degli altri paesi in commissione, proprio per presentarmi”.
Una volta arrivati a New York, come si è svolta la simulazione?
“Eravamo circa 120 paesi, quindi circa 250 persone. La commissione si divideva in due momenti: i dibattiti formali e informali. Nei primi ci si poteva iscrivere a una lista per prenotarsi per prendere parola rispetto a una certa sottocategoria di argomento. Per esempio il topic principale era ridurre le lotte fra bande all’interno del Sud Sudan, un topic secondario poteva essere come la scuola può aiutare a ridurre questo problema. Quindi ci si prenotava tramite un’alzata di una plaquette con il nome del proprio paese e si andava a parlare di fronte a tutti per un minuto circa. Il secondo consisteva in più o meno 20-30 minuti e si poteva girare per la stanza, andando a conoscere le altre delegazioni di cui magari erano piaciuti gli interventi durante il dibattito formale e si iniziano a creare dei block, cioè dei gruppi di nazioni con la stessa idea. Da lì poi si inizia a formare il draft, cioè una bozza con la soluzione finale del problema”.
E tu? Hai parlato nel dibattito formale?
“Ho fatto quattro interventi. Sono contento, anche se c’è chi ne ha fatti molti di più. In realtà è perchè non ne avevo preparati abbastanza, non pensavo ci sarebbero state così tante opportunità per parlare, invece tutta la simulazione verteva principalmente sul dialogo e confronto di tutti. Poi, bisogna considerare che si parla anche un inglese molto specifico che non sempre è semplice da gestire, anche se con il tempo ci si prende la mano. È stato molto importante anche proprio per avere un ‘assaggio sul campo’: questo tipo di esperienza aiuta molto chi vuole seguire una carriera in questo ambito poichè mostra proprio in cosa consiste l’effettivo lavoro e che tipo di abilità sono richieste, aiutando molto a orientarsi per il futuro”.
Emily Hysa