Milena, la vita oltre la malattia

    “Una minuscola vela che rabbrividisce all’orizzonte e con la sua piccolezza e il suo isolamento imita la mia esistenza irrimediabile, melodia monotona dell’onda…”. Pensieri dolci e struggenti da Argàno Veneziano, romanzo scritto nel 2005 da Milena Renzi (nella foto, al centro).
    Milena, nata nel 1975, è, già da tempo, scrittrice di successo; ha al suo attivo più di una decina di titoli pubblicati, tra cui il 1° premio nazionale di letteratura “G.Quondamatteo” ricevuto nel 2001. La sua giovane vita, vissuta intensamente, ha già un carico di dolore enorme. Nel pieno della gioventù, a 16 anni, la sua vita si spezza; sua madre muore a 52 anni a causa di una malattia devastante, la distrofia muscolare. Lei la cura e la segue fino all’ultimo istante in ospedale, dove la madre cede per sempre alla malattia.
    “Andai in India, praticamente fuggii il più lontano possibile, forse per non vivere in quei luoghi che mi ricordavano troppo lei, forse per cambiare vita. Nella zona sud dell’India, il Kerala, trovai tante persone disposte a darmi aiuto. Ebbi lavoro in una scuola per bambini e in un ospedale come traduttrice dall’italiano all’inglese. Là mi sentivo bene, contemporaneamente mi rendevo utile, mi curavo, mi sentivo libera, ero immersa in un contesto di serenità, pur sapendo di aver ereditato la malattia da mia madre. Poi un fulmine a ciel sereno spezzò questo delicato equilibrio. Rimasi incinta e il mio compagno, un pilota d’aereo che faceva linea dall’Oman all’India, si spaventò moltissimo. Avevo paura a dirlo anche a mio padre, mi avrebbe detto che ero incosciente”.

    Perché?
    “La distrofia muscolare è genetica e si eredita per il 50%. La creatura che portavo in grembo poteva essere predisposta alla malattia e alle sue conseguenze”.

    Quindi?
    “Tornai in Italia, diedi la notizia a mio padre che non accettò, da subito, questa gravidanza. L’atmosfera era pesantissima soprattutto perché queste scelte, sono discutibili. Tenere il bambino e sapere che sarà condannato al mio stesso destino. Feci l’esame e dopo tempi lunghissimi arrivò l’esito: esame nullo. Rifeci il test di quasi 5 mesi e la risposta arrivò ai 7 mesi di gravidanza. Positiva. Avevo tutti contro ed ero sempre più disperata. Andai a trovare mia madre al cimitero e sulla sua tomba le chiesi consiglio. Poi non uscii più di casa, non avrei sopportato che qualcuno che mi conosceva, mi avesse rivolto un apprezzamento qualsiasi. Mi vennero in mente le discussioni con mia madre: quando le dicevo Quello che vuoi lo puoi fare. Le gambe non sono queste, sono nella testa. Tu puoi fare tutto quello che vuoi a prescindere dal tuo movimento! Ma lei si è spenta perché non aveva più motivazioni per vivere. Io adesso voglio vedere tutto, voglio fare tutto in modo che, più avanti, quando aprirò questo piccolo bagaglio di vita che mi porterò appresso, ne esca tanta energia, le cose nelle quali ho creduto”.

    E qual è quella più bella?
    “Sicuramente la mia ragazza, Emma. Ha solo 16 mesi ma la chiamo così perché io la vedo già grande. L’ho amata da subito, adesso l’amo ancor di più, è la mia vita. Emma è nata il 30 ottobre 2007, di 8 mesi, all’improvviso. La risposta del suo test, dopo varie prove, è stata negativa. Emma non ha niente. Negli altri test c’era stata contaminazione materna che ha rilasciato tracce della mia malattia”.

    Quindi se avessi seguito i consigli che ti avevano dato…
    “Se mi fossi fatta prendere dalla paura, perché per questa malattia non c’è cura risolutiva, oggi non potrei guardare quegli occhi vispi ed interrogativi, quella sua bocca di pesca, senza dentini, non potrei sentire il suo respiro felice quando mi abbraccia, la mia ragazza, la cosa più bella che mi potesse capitare!”.

    Adesso, sempre in giro tra l’Italia e gli Emirati, Milena ha trovato il modo di scrivere il libro Emma, mi vida il cui ricavato andrà in parte devoluto all’A.L.I.R.
    “Il nome esteso è Associazione Lotta contro l’Insufficienza Respiratoria. L’ho fondata due anni fa assieme a cinque soci. Lo scopo è quello di acquistare per i malati di distrofia muscolare, un apparecchio che si chiama In-Exufflator molto costoso e che serve alle persone che perdono la capacità di respirare. Attualmente la sede è presso la Casa di Solidarietà vicino alla rotatoria delle Vele, a Riccione”.
    È difficile soffrire, è difficile imparare a farlo, in silenzio, senza disturbare. Quando poi a soffrire è anche il tuo corpo, che ti urla il suo dolore, allora ti sembra di sprofondare in un delirio di sensazioni desolanti. È allora che contano le parole che ti ricordi, quelle che ti incoraggiano, quelle sagge che sanno consolarti, quelle dichiarate col cuore, con amore, quelle dette per non farti sentire sola, quelle sussurrate col linguaggio semplice e profondo dell’anima.

    Laura Prelati