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Mi rifaccio vivo, la commedia garbata

L’aldilà immaginato da Sergio Rubini nel suo ultimo film da regista Mi rifaccio vivo, dove ha ritrovato lo sceneggiatore Umberto Marino (insieme ne Il viaggio della sposa), è un lussuoso hotel con tanto di accappatoio fornito all’entrata, con Karl Marx al posto di San Pietro e un ascensore per le destinazioni “di sopra” e “di sotto”. Ci finisce il suicida Biagio Bianchetti (Lillo), spinto all’estremo gesto per l’ossessione nei confronti del rampante Ottone (Neri Marcoré), suo avversario di sempre. Un chiodo malandrino ha però forse impedito il ripensamento all’ultimo minuto e a Bianchetti è concessa una settimana di bonus reincarnandosi nel manager Dennis Ruffino (Emilio Solfrizzi) che sta per concludere un affarone proprio con il nemico Ottone. Il nuovo corpo servirà a Biagio per vendicarsi, ma deve stare attento agli specchi (l’immagine riflessa è sempre quella del defunto) e sistemare le questioni insolute, in primis i debiti lasciati alla buona moglie (Vanessa Incontrada) e le paturnie dell’insoddisfatta consorte di Ottone (Margherita Buy), eterna seconda dietro all’amante del marito (Valentina Cervi).
Commedia che gioca sul fantastico e sul soprannaturale (percorsi di fantasia già solcati ne L’anima gemella), Mi rifaccio vivo è garbato film che si muove su una consolidata tradizione di film, soprattutto hollywoodiani, con gli scambi tra cielo e terra. Qui la materia consente a Rubini, spalleggiato da sicuri interpreti, di mettere a punto una vivace storiella dove Biagio ha l’occasione di conoscere più a fondo il nemico di sempre e scoprirne debolezze e inattese virtù. Il film non porta al travolgente entusiasmo, ma nel panorama attuale della commedia italiana, almeno si esce dalla sala con il sorriso sulle labbra.