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Maturità, la prima dell’era post Covid

Quella da remoto era una brutta cosa anche solo da scrivere, figurarsi da vivere. Si ritorna in presenza e senza autocertificazione sullo stato di salute. Ritornano le prove scritte, il colloquio è salvo, la mascherina una estrema ratio, e solo se adottata dal presidente. Eccolo qui, l’esame di stato 2022. La maturità, che ha preso il via il 22 giugno, vede coinvolti in Emilia-Romagna oltre 35mila candidati. Tornano le tre prove, con alcune differenze rispetto agli standard pre Covid. La prima prova è lo scritto di italiano. La seconda prova è uno scritto sulla disciplina di indirizzo indicata dal Ministero dell’Istruzione. La terza prova è un colloquio: lo studente di fronte alla commissione (sono 70 a Rimini, 872 in tutta la regione), con una postilla. In caso di impedimento serio, il candidato potrà sostenere il colloquio in videoconferenza.

Da una parte, dunque, gli indirizzi del Ministero, dall’altro le aspettative e le attese dei diciottenni: quella 2022 sarà una strana notte prima degli esami?

La prima maturità d.C., dopo Covid (nella foto @Riccardo Gallini), nonostante i diversi “accorgimenti”, resta comunque la si voglia considerare, un’esperienza unica.

Su un totale regionale di 35.796 candidati, i riminesi impegnati nell’esame di Stato sono 2.801. Di questi, 2.659 frequentano gli istituti scolastici statali, 98 provengono da Istituti scolastici paritari e solo 44 sono candidati esterni. I Licei sono la tipologia di scuola che “accompagna” più ragazzi all’esame: 1.287. Seguono gli istituti tecnici (855) e infine quelli professionali (659).

A sostenere le tre prove, ci sono anche candidati adulti, iscritti cioè a percorsi di istruzione degli adulti. 114 quelli provenienti da Istituti professionali, 27 quelli da Istituti tecnici, nessuno dai licei.

La maturità ritorna (quasi) sui soliti binari, ma al termine di due anni che hanno “sconvolto” la scuola. Manuel Mussoni, insegnante di religione all’“Einaudi Molari” di Santarcangelo, non ha dubbi: quella trascorsa è stata una stagione davvero sui generis.

“Un anno scolastico ponte tra restrizioni ancora dure, e il tentativo di ritorno alle aperture, alle relazioni, alla scuola come eravamo abituati”.

Com’è stato vissuto?

“Siamo partiti con misure severe, mascherine, distanziamenti, qualsiasi attività extrascolastica da evitare, per approdare ad una seconda metà con più aperture. L’utilizzo della mascherina ha creato difficoltà nei docenti, dovendo richiamare i ragazzi che l’abbassavano e chi fingeva di tenerla. C’è stato qualche tentativo di tornare ad attività extrascolatiche, ma anche tante sofferenze e difficoltà dovute alla distanza ancora aumentata tra adulti e giovani, tra insegnanti e studenti”.

Cosa genera questo divario nella scuola?

“Da una parte le attese degli studenti verso una transizione, dall’altra il corpo insegnanti che fremeva per ritornare alla scuola dei voti, delle verifiche, delle interrogazioni a tambur battente, del programma da sviluppare. C’è una distanza grande, un’incomprensione tra generazioni”.

Un’incontro è un’impossibile soluzione?

“Gli studenti non chiedevano di eliminare voti, verifiche, programmi e interrogazioni ma gestire i ritmi, per riprendere con gradualità dopo due anni ‘diversi’. Cosa che non è accaduta perché si pensa che la scuola migliore possibile sia solo quella degli argomenti svolti e dei voti uno dietro l’altro. Un fattore centrale sono invece le relazioni, ma la scuola fatica su questo versante. Per le uscite scarseggiavano gli insegnanti e prevaleva il timore di perdere giorni utili. Ho visto classi autorganizzarsi per una giornata o una mattinata tra compagni, e il corpo docenti rispondere con richieste di abbassare i voti in condotta”.

I due anni della pandemia non si possono cancellare con un colpo di spugna.

“Ci sono straschichi. Due anni di lockdown hanno fatto perdere i ritmi studio e passaggi imprtanti nell’acquisizione di competenze e metodi di studio che creano difficoltà allo svolgimento dei programmi”.

Come reagire?

“Noto una difficoltà dei docenti nel leggere le sfide attuali: è più facile tenere il ritmo tradizionale. Leggere le difficoltà non significa abbassare le pretese, sconvolgere il modello scolastico o sminuire la ricchezza e l’importanza didattica, ma capire chi si ha davanti, esplorare strategie di lezione e comunicazione per trovare un punto d’incontro”.

In questo contesto arriva la maturità.

“In una versione più vicina a come lo conoscevamo, con prove scritte e orali. C’è tensione. C’è chi è contento di questa maturità più ordinaria perché la si vive più pienamente come tappa vera, e chi ha paura perché teme che i docenti non comprendano le criticità degli ultimi due anni e chiedano una maturità ‘classica’ con programmi non svolti del tutto. Con la seconda prova scritta si teme di pagare l’anno di transizione con una valutazione compromessa. La commissione interna e la possibiità di preparare prove all’interno dell’istituto può portare ad un punto d’incontro”.

Prof. Mussoni, cosa si auspica?

“Che prevalgano le relazioni. Quella attuale è una sfida da leggere e non un peso da portare, il Covid ha solo accelerato un cambiamento in atto. La scuola del prossimo anno sarà ancora più introgante e appassionante perché chiama ad affrontare queste sfide”.