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Manuel Mussoni: Le ferite che non volevo

Da anni si confronta con gli adolescenti, e con i giovani in generale, come docente di religione all’ITSE “Rino Molari” di Santarcagelo e in qualità di presidente dell’Azione Cattolica diocesana di Rimini. L’educazione è il suo habitat naturale. E proprio i ragazzi, la loro bellezza e le loro fatiche, sono stati la musa ispiratrice della sua secondo opera letteraria.

Il capitolo più bello del libro, il libro d’esordio, raccontava il “mondo” dentro e fuori la classe, la scuola, i banchi. Ora Mussoni (nella foto a sinistra durante un’intervista su Icaro TV) è tornato alla scrittura per cimentarsi con un romanzo dal titolo Le ferite che non volevo, edizione Itaca. E il libro è già diventato un caso. La presentazione, al Super Cinema di Santarcangelo, ha stravolto i crismi delle tradizionali presentazioni, diventando una serata gestita dagli studenti, quindi con tante sorprese e imprevisti.

Mussoni, un altro, nuovo capitolo?

“Nel primo libro cercavo di far riflettere sulla scuola oggi e su rapporto tra generazioni, provando a dare stimoli e spunti di riflessione. I giovani, però, hanno bisogno di una storia in cui immedesimarsi.

Da qui l’idea di scrivere un romanzo, sempre puntando l’attenzione sul livello educativo: i ragazzi oggi e il rapporto intergenerazionale con gli adulti”.

È arrivato così Le ferite che non volevo?

“Il romanzo è ambientato tra Rimini e Bologna, in due momenti cronologicamente distanti trentanni l’uno dall’altro. Racconta la rabbia che c’è negli adolescenti di oggi, facendo emergere con forza e realismo ciò che pensano e ciò che sta loro a cuore”.

Il romanzo ha per protagonisti due ragazzi, Matteo e Alex, che incontriamo da adulti e con loro ripercorriamo la storia della loro amicizia e delle ferite subite.

“Tornando a casa da scuola dopo aver ascoltato una storia drammatica mi son riempito di rabbia e di impotenza di fronte ad una realtà di sofferenza che non potevo cambiare. Scrivendo una storia potevo decidere io il finale. Per il libro mi sono dunque ispirato a due vicende particolari che tocco solo con sfumature, due vicende difficili che emotivamente mi hanno coinvolto e hanno guidato tutto lo sviluppo del racconto”.

C’è chi ha visto nel prof. Torra che segue i suoi studenti sulle tribune di un campo da calcio, un riflesso del prof. Mussoni che si sciroppa 200 km per tifare il suo studente Carlo impegnato in una partita molto importante. Un libro autobiografico?

“Ho cercato di tenermi fuori dal focus, e di lasciare i riflettori ai ragazzi, i veri protagonisti”.

Nel suo andamento cinematografico, il romanzo parte con un episodio forte.

“Il rapimento di una ragazzina di 11 anni, che rischia la vita. Per cercare di salvarla arriva Matteo, il negoziatore della Polizia che ben presto scopre che la ragazzina rapita è la figlia del suo amico Alex, e si ritrova a ricordare la loro relazione. Tra l’inizio e la fine del romanzo, c’è la storia di un’adolescenza nata e cresciuta tra cattiverie e ingiustizie causate da un mondo adulto distratto e totalmente incapace di intercettare i più giovani”.

I due protagonisti, ma anche alcuni comprimari, appaiono più feriti che colpevoli e più delusi che deludenti.

“Il romanzo è attraversato da un pericoloso segreto che non deve emergere e che condiziona le relazioni di due famiglie, convinte che certe ingiustizie vadano accettate silenziosamente per evitare di trovarsi a viverne di peggiori. Emerge lo spaccato di una società fatta di ipocrisie, tradimenti, rapporti dominati da estraneità e violenza: donne che vivono la vita di coppia come un tunnel tenebroso senza via d’uscita, perennemente schiacciate dal quesito sull’identità del vero amore; figli che cercano affannosamente modelli da seguire convinti che l’età adulta porti un livello di consapevolezza e di serenità circa le proprie scelte di vita, ma che spesso devono appoggiarsi solo sulle proprie forze.”

Quella a cui il romanzo dà voce sembra una generazione orfana che fa emergere l’aridità di una proposta adulta.

“Che non sa intercettare i bisogni e le esigenze dei propri figli. Più che un confessionale di legno posto in chiesa, dove un prete attende i giovani, sono loro ad avere un angolino delle confidenze dove attendono trepidanti qualche adulto disponibile all’ascolto.

L’incapacità di genitori e Chiesa a rispondere a queste attese viene riscontrata nel libro anche nel contesto scolastico e in una squadra calcistica in cui i ragazzi faticano enormemente a sentirsi coinvolti.

Il vuoto educativo sembra incolmabile quando emergono due figure che riscattano le delusioni vissute fino a quel momento. Si tratta di un riscatto che non può e non vuole lasciare l’ultima parola alla rabbia, ma intende affrontare le sfide della vita reale. Non tutto è perduto”.

Mussoni, non c’è due senza tre?

“Il libro è un atto necessario, e quando si è mossi da passione non si fa tempo a terminare una cosa che già nella testa frulla altro. Le riflessioni e gli annedoti sulla scuola all’origine del Capitolo più bello, non erano sufficienti, ma un punto di partenza che pian piano preso forma in questo nuovo romanzo. C’è un legame tra la prima e la seconda opera e tra ciò che ho vissuto a scuola in questi anni.

Ora sono già al lavoro su una nuova idea, un lavoro iniziato con grande entusiasmo. Mentre cerco di promuovere Le ferite, non appena ho due minuti di tempo elaboro appunti e collegamenti per questa nuova avventura”.