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L’OLANDESE VOLA ALTO

Jennifer Holloway (Senta) - PH Hans Jorg Michel

Alla Staatsoper di Amburgo una nuova produzione dell’opera di Wagner diretta da Kent Nagano con la regia di Michael Thalheimer 

AMBURGO, 23 ottobre 2022 – Due ore e un quarto, senza intervallo. La prima versione di Der fliegende Holländer (L’olandese volante) diretta da Kent Nagano alla Staatsoper di Amburgo scorre veloce, complice anche uno spettacolo tenebroso e stilizzato dove non succede quasi nulla, in una scelta estetico-stilistica che favorisce la massima attenzione verso la musica.

Perno della regia di Michael Thalheimer, accuratamente pensata, è il personaggio di Senta, di cui scandaglia i grovigli psicanalitici. Figura femminile che in tempi di politicamente corretto susciterebbe più di una perplessità (sacrifica la propria vita per la redenzione di un uomo, al pari di altre eroine wagneriane), si materializza fin dal preludio, fuoriuscendo dal suo bozzolo: un sacco di plastica nero. Resta poi sempre in scena – la ‘ballata’ che segna il suo esordio vocale sarebbe invece all’inizio del secondo atto, almeno nella versione che si esegue di solito – mentre s’innalzano lentamente dei fili che vanno a costituire una parete-labirinto che quasi imprigiona tutti i personaggi: l’Olandese, che nel suo errare non riesce mai ad allontanarsene, e Daland, che invece l’attraversa spinto dal desiderio del denaro, simbolicamente rappresentato da una cascata di coriandoli dorati che intasca con avidità (le scene sono di Olaf Altman, i costumi contemporanei di Michaela Barth e la sapiente illuminazione è di Stefan Bolliger).

Jennifer Holloway (Senta) – PH Hans Jorg Michel

La scelta registica appare particolarmente felice grazie anche alle straordinarie qualità musicali di Jennifer Holloway: un’interprete che affronta la figura di Senta con una vocalità lirica del tutto inedita rispetto ai grandi soprani che hanno legato il loro nome a questo ruolo. Possiede poi una fisicità che la rende perfettamente credibile nel suo nevrotico sperdimento, di personaggio fragile – la voce invece galleggia senza alcun problema sullo spessore orchestrale – che entra in conflitto con il padre Daland, affettuoso ma dispotico nella sua preoccupazione di darla in sposa a un uomo ricco, senza ascoltare i consigli delle amiche, né tanto meno accettare l’ancora di salvezza offertale dall’innamorato Erik. Preferisce, insomma, rischiare l’autodistruttivo salto nel buio con l’Olandese. È ovvio che con un simile profilo non ci sia più bisogno neppure del quadro, previsto dal libretto di Wagner, per innescare l’attrazione della fanciulla verso l’enigmatico Olandese: la volontà di distruzione è già scritta nella sua mente, come in quella di tante donne pure ai giorni nostri.

Peccato che a un’interprete di tale caratura vocale e interpretativa non corrispondesse un versante maschile alla stessa altezza. Tuttavia nel titanico ruolo del protagonista il baritono Thomas Johannes Mayer, dall’aspetto vagamente barbarico, ha saputo difendersi pur con qualche cedimento; ed è apparsa comunque efficace la dialettica vocale che s’innesca con il basso Kwangchul Youn, collaudato Daland, capace di affrontare la scrittura del suo personaggio con sicurezza e omogeneità vocale. Il tenore Benjamin Bruns è riuscito a imprimere accenti appassionati ed espressivi al cacciatore Erik, così come si sono fatti apprezzare Katja Pieweck, nei panni dell’amica-confidente di Senta, e Peter Hoare in quelli del timoniere cui Wagner affida una breve, ma ostica aria.

Il vero demiurgo dell’operazione è stato però Nagano, da alcuni anni direttore principale della Staatsoper di Amburgo. Ha scelto di eseguire la prima versione dell’Olandese volante, quella del 1843 in un unico atto, dall’orchestrazione più massiccia rispetto alla versione realizzata da Wagner quasi vent’anni dopo e che si ascolta di solito. Il suo braccio possiede comunque la rara dote della leggerezza, che si manifesta attraverso una minuziosa cura delle più piccole sfumature dinamiche, e la Philharmonisches Staatsorchester di Amburgo l’ha assecondato molto bene, come del resto l’ottimo Coro della Staatsoper. Direttore sempre attento a sottolineare le ascendenze legate alla tradizione, ha offerto una lettura dove permane, certo, la scansione tipica dell’opera romantica, ma trasformando in dissolvenze sonore i collegamenti tra i diversi brani musicali. E proiettando così L’Olandese volante verso quel futuro sempre più imminente per Wagner.