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Lo Spirito è il respiro della Chiesa

Chi è lo Spirito Santo? Un giorno a san Paolo, arrivato ad Efeso, capitò un episodio curioso: quando incontrò dei cristiani, chiese loro se avevano ricevuto lo Spirito Santo, e si sentì rispondere: “Non abbiamo neanche sentito dire che esista uno Spirito Santo” (At 19,1-2). È una risposta che potrebbe essere sottoscritta da molti cristiani. Resta la domanda: chi è lo Spirito Santo? Un grande padre della Chiesa – san Gregorio di Nissa – di norma così controllato nel suo linguaggio da passare per uno di quei teologi che spaccano il capello in quattro, affermava con linguaggio spericolato: “Se a Dio togliamo lo Spirito Santo, quello che resta non è più il Dio vivente, ma il suo cadavere”. Facendo il verso a tale espressione tanto ardita, verrebbe da dire che, a maggior ragione, se alla Chiesa togliamo lo Spirito Santo, quello che resta non è più il santo popolo del Dio vivente, ma un cimitero sterminato di cadaveri, così come si legge nel profeta Ezechiele. Ma forse possiamo sfiorare almeno qualche frangia del mistero sfolgorante dello Spirito Santo, se ci poniamo un’altra domanda: cosa fa lo Spirito Santo? Non ci resta che contemplarlo “in azione”, nel giorno della sua irruzione nella storia, a Pentecoste. San Luca ci dipinge l’evento in contrasto con la pagina della torre di Babele. A Babele si parte dall’unità di lingua e si arriva drammaticamente alla dispersione dei “figli di Adamo”; a Pentecoste si parte dalla varietà di “tutte le nazioni che sono sotto il cielo” (At 4,6) e dalla diversità delle rispettive lingue per arrivare all’unità dei cuori, alla concorde comprensione dello stesso messaggio. Ma occorre domandarsi: perché a Babele Dio stesso si incarica di confondere le lingue in modo che “non comprendano più l’uno la lingua dell’altro” (Gen 11,7)? Perché l’unità di Babele era una unità “secondo la carne”, perseguita con la tenace ambizione di “farsi un nome” (cfr Gen 11,4). Si tratta di una unità programmata con la mira egemonica di assicurare l’unità tra gli uomini attraverso un dominio universale e con la non troppo malcelata strategia di un imperialismo politico-religioso. La conseguenza ineluttabile non poteva che essere la divisione. Commenta amaramente quella pagina un antico midrash: “Quando si rompeva un mattone, tutti piangevano; quando moriva un uomo, nessuno se ne dava pensiero”.
A Pentecoste il dono dello Spirito ristabilisce l’unità delle lingue che era andata perduta a Babele e prefigura così la dimensione universale della missione degli apostoli. La Chiesa nasce unita e universale, una e cattolica, con una identità precisa ma aperta, che abbraccia il mondo ma non lo imprigiona, secondo la stupenda immagine del colonnato di san Pietro del Bernini: due grandi braccia materne che si aprono ad accogliere tutti, ma non si richiudono per trattenere qualcuno. Cogliamo così il duplice dinamismo dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: da un lato egli la spinge verso l’esterno per farle accogliere in un grande abbraccio un numero sempre maggiore di figli; dall’altra la rinvia al suo interno per farle consolidare e approfondire l’unità raggiunta. È un moto di sistole e di diastole, un respiro di in-spirazione ed e-spirazione, un dinamismo di concentrazione e di espansione.

mons. Francesco Lambiasi
(tratto da Stupiti dal mistero, edizioni il Ponte)