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Le urgenti ragioni di una riforma

All’inizio del secondo millennio la Chiesa d’Occidente si trova nel bel mezzo di quello che uno storico del ‘600, il Baronio, chiamò saeculum obscurum.

Il “saeculum obscurum”
Da una parte si stava ponendo in maniera perentoria il problema del rapporto tra primato del papa (affermato con sempre maggiore energia) e governo collegiale dei vescovi, il che portò alle tensioni con la Chiesa d’Oriente e fu una delle ragioni dello scisma del 1054; dall’altra, con l’abdicazione di Carlo il Grosso nell’ 881 e la fine dell’impero carolingio, il papato e le gerarchie della chiesa si trovavano privi di un prezioso alleato. Gli anni tra l’ 880 e il 1046, che vedono l’Europa alle prese con le invasioni degli Ungari, dei Saraceni e dei Normanni e la dignità imperiale contesa tra nobili italiani in rovinosa lotta fra loro, vedono anche la Santa Sede in balia delle pretese delle famiglie aristocratiche romane, dissolute e avide di potere e il succedersi di ben 48 papi “nominati e destituiti, cacciati, imprigionati, assassinati”.

Ottone I e l’alleanza con i vescovi
Per imporre la propria autorità al popolo e alla aristocrazia romana il papa Giovanni XII aveva finito per chiedere l’aiuto di Ottone I di Sassonia, che, sceso in Italia nel 962, si era fatto incoronare imperatore, era riuscito, almeno per qualche tempo, a sottrarre il papato alle contese dei partiti romani e aveva ripristinato la Costitutio romana di Lotario I (824), che imponeva al papa neo eletto un giuramento di fedeltà all’imperatore, sancendo di fatto la sovranità dell’impero sulla Chiesa e ponendo le premesse per riproporre e far accettare quella idea di universalità dell’impero che era stata di Carlo Magno.
Per dare un assetto nuovo al suo regno Ottone I aveva cercato nell’episcopato un alleato sicuro, proteggendo, tra l’altro, i beni ecclesiastici dalla insaziabile avidità dei nobili.
Su questa linea politica si era posto, nel 996, l’ordine dato al conte Rodolfo di restituire al vescovo di Rimini una serie di diritti da lui esercitati ingiustamente.

Fedeli e sottomessi
Una politica così fatta aveva favorito evidentemente il consolidamento di una aristocrazia vescovile legata al sovrano. Vescovi e abati, che erano stati i grandi signori dell’impero carolingio lo furono, a maggior ragione, dell’impero degli Ottoni: appartenevano ai gruppi dirigenti e quindi assicuravano ai re una non disinteressata fedeltà. E l’imperatore esercitava in maniera sempre più pressante la sua influenza nella scelta dei vescovi tanto che l’elezione canonica finì per essere una mera formalità.
I successori di Ottone I proseguirono nella concezione teocratica della sovranità e dell’impero e continuarono a considerare compiti propri dello Stato la protezione della Chiesa all’interno e all’esterno, la missione e la diffusione della fede, in un crescendo che vide il suo culmine nel 1046, quando nel sinodo di Sutri l’imperatore Enrico III destituì i tre papi che poco dignitosamente lottavano per la somma dignità (Gregorio VI, Benedetto IX e Silvestro III), e propose l’elezione del vescovo di Bamberga, che divenne papa col nome di Clemente II.

Enrico III e la costituzione emanata a Rimini
Prova di questo interesse per la disciplina ecclesiastica è anche la costituzione che Enrico III emanò il 3 aprile 1047 a Rimini, per sciogliere i dubbi di coscienza del clero, combattuto tra il divieto evangelico di giurare e l’obbligo imposto dal diritto romano alle parti in causa nei processi di giurare di evitare di far valere pretese che sapevano essere infondate. Giuramento che era molto diffuso in Romagna, come si ricava da una lettera di san Pier Damiani a tal Morico.
Il sinodo di Sutri contribuì a rafforzare il papato con l’elezione di personalità degne, in grado di impegnarsi nella lotta contro la simonia e per ristabilire la disciplina ecclesiastica, tanto è vero che fu accolto con sincero entusiasmo da Pier Damiani e da Odilone di Cluny, i più fervidi propugnatori della riforma.
D’altra parte, però, rese evidente che l’asse Chiesa/Impero su cui si reggeva l’Occidente si era fin troppo spostato a favore di quest’ultimo e che il rapporto fra imperatore e papa andava interamente ripensato, precisando e delimitando le rispettive sfere di influenza.

La riforma e il suo anticipo a Cluny
Il moto di riforma che ne nacque obbligò a ripensare il rapporto tra Stato e Chiesa. E non si trattò solo di uno sforzo dal carattere ecclesiastico e politico, perché la riforma, nata da una profonda e schietta rimeditazione dei valori monastici e religiosi, non si limitò al conflitto tra Stato e Chiesa, ma abbracciò l’intera vita spirituale, tutti i campi della vita morale e religiosa, dando origine a nuove e più differenziate forme di esistenza religiosa.
La riforma dell’XI secolo, in realtà, aveva avuto la sua origine un secolo prima, dopo che, intorno al 910, il duca Guglielmo il Pio di Aquitania aveva fondato il monastero di Cluny, garantendo nel documento di fondazione la libera elezione dell’abate e l’esenzione dalla giurisdizione del vescovo. L’osservanza rigorosa della regola di san Benedetto, la vita ascetica, l’obbedienza all’abate, la cura nella celebrazione liturgica permisero di testimoniare, in un mondo fortemente laicizzato, il valore del distacco dai beni terreni, l’affratellamento mediante la preghiera e l’apertura sul mondo attraverso la partecipazione interiore ai problemi dell’umanità
Il movimento di riforma monastica favorì l’approfondimento della vita cristiana e richiamò l’attenzione sull’importanza della religione nella vita pubblica, sulla posizione della Chiesa e del papa, sugli abusi ecclesiastici, sui grandi doveri della Chiesa e preparò il terreno per i futuri sviluppi.
Fu proprio un monaco di Cluny, Ildebrando, chiamato a Roma da Leone IX, il capo del partito riformatore della curia. La lotta contro il matrimonio degli ecclesiastici, la simonia e l’investitura dei vescovi da parte dell’imperatore furono i punti fondamentali del suo programma.
Appena diventato papa col nome di Gregorio VII emanò nel 1075 il Dictatus papae, col quale, affermando che il papa è il capo supremo della cristianità e per questo non solo può intervenire nei diritti dei vescovi ma è anche posto al di sopra di re e imperatori, scatenò quella lotta con l’impero destinata a concludersi solo nel 1122 con il Concordato di Worms. (2 – continua)

Cinzia Montevecchi