È ambientata negli anni Trenta L’Olimpiade di Pergolesi sui versi di Metastasio rappresentata a Jesi
JESI, 21 novembre 2025 – Un’opera imperdibile, che è necessario conoscere. L’Olimpiade, forse il libretto più bello mai scritto da Metastasio e non a caso intonato da innumerevoli compositori, resta però di rara rappresentazione: in tutte le sue versioni, a prescindere da chi sia l’autore delle musiche. Dunque, ogni occasione per ascoltare questo ‘dramma per musica’ è da cogliere al volo. La proposta è arrivata da Jesi, che l’ha inserita fra i titoli della cinquantottesima stagione lirica (comunque era già andata in scena nel 2002 e ripresa nel 2011): una scelta quasi obbligata per la città natale di Giovanni Battista Pergolesi, dettata anche dalla necessità di rendere omaggio nel ventesimo anniversario dalla morte a Francesco Degrada, l’insigne studioso che più ha contribuito alla rivalutazione del compositore jesino.

Per la nuova produzione è stato determinante il contributo dei due giovani vincitori della quinta edizione del concorso dedicato a Josef Svoboda – bandito dal Teatro Pergolesi – e cioè Bruno Antonetti per le scene e Giulia Negrin per i costumi, che hanno scelto di ambientare l’opera durante le Olimpiadi di Berlino del 1936. Si sono così ispirati al razionalismo architettonico di quegli anni, coniugandolo a un’elegante classicità senza tempo. Persino inevitabile che aleggi sullo spettacolo il fantasma di Leni Riefenstahl, la regista tedesca che nel film Olympia – il suo capolavoro – documentò quel grande evento sportivo.
Nel primo atto, la scena fissa fa da sfondo a una palestra dove alcuni giovani si esercitano agli attrezzi: subito s’intuisce il diverso atteggiamento verso la disciplina sportiva dei due amici Megacle e Licida. Nel secondo atto si passa in un interno, per tornare in seguito a un ampio e monumentale spazio aperto, che ospita la premiazione del vincitore delle gare e dove il re Clistene riconosce in Licida il proprio figlio. Molto efficace, per rendere più comprensibili i rapporti fra i personaggi, poi, è stato l’utilizzo di una dimensione scenica sopraelevata, dove quattro danzatori mimano alcune situazioni chiarificatrici dell’intricata vicenda.
Il regista Fabio Ceresa sfrutta tale cornice visuale e cerca di rendere più nitidi i contorni dei protagonisti, che il testo di Metastasio già definisce con una certa ricchezza di elementi, e che la musica – da parte sua – contribuisce a esaltare, delineando con grande intensità le diverse situazioni emotive. Magnifica l’aria di Megacle Se cerca, se dice (fino a un po’ di tempo fa figurava anche nelle antologie scolastiche di letteratura italiana), tanto più che quella di Pergolesi rimane forse l’intonazione più bella, così come il duetto di Aristea e Megacle Nei giorni tuoi felici, non a caso rimasto celeberrimo per tutto il settecento.
Un buon cast, soprattutto sul versante femminile, ha saputo valorizzare le sollecitazioni della musica: a cominciare dai due amici, i veri protagonisti. Il soprano cipriota Theodora Raftis ha affrontato con sicurezza le colorature, disegnando con notevole spontaneità un Megacle generoso e leale. L’espressivo mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco – anche questo un ruolo en travesti – è stata un convincente Licida, riuscendo a rendere le incertezze e i turbamenti del personaggio. Silvia Frigato, nei panni della determinata Argene, ha dimostrato ancora una volta di saper cantare benissimo, evidenziando un’emissione sempre omogenea e impeccabile precisione. Carlotta Colombo interpretava un’elegante Aristea, tanto sul piano fisico che vocale: efficace nel disegnare un personaggio ondivago e disorientato, ma solo in apparenza. Alle prese con la scrittura di Alcandro, il contralto Francesca Ascioti – che la regia connota con tratti quasi cabarettistici – è stata in grado di affrontare con sicurezza una scrittura profondissima.
Solo due le voci maschili: Anicio Zorzi Giustiniani, un credibile re Clistene, e il secondo tenore Matteo Straffi, il meno convincente precettore Aminta.
Se tutti i cantanti sono apparsi sempre appropriati sul piano stilistico, anche gli strumentisti dell’Orchestra Ghisleri hanno compiuto apprezzabili sforzi per adeguarsi, nonostante si trattasse del loro debutto operistico. Li guidava il fondatore Giulio Prandi che – al netto di un certo numero di tagli – ha impresso all’esecuzione slancio nei momenti topici, anche se non sempre sostenuto in maniera del tutto consequenziale.
Un’occasione preziosa, si diceva, di ascolto. L’Olimpiade andò in scena per la prima volta a Roma nel 1735; l’anno dopo Pergolesi sarebbe morto, a soli ventisei anni: la prematura scomparsa gli ha precluso la possibilità di continuare lungo il filone “serio”, magari con esiti ancor più maturi. Tuttavia i vertici raggiunti in campo comico, con La serva padrona, e in ambito sacro, con Stabat Mater, lo collocano tra i più straordinari musicisti di tutti i tempi.
Giulia Vannoni






