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Lavoro digitale: la creatività parla riminese

Davide Bertozzi, attivo dal 2010, racconta la propria esperienza nel mondo del lavoro sul web (e non solo). Un settore che presenta ancora molte difficoltà, ma che sarà centrale in futuro

Nella realtà odierna è ormai consueto ritenere che operare nel digitale sia un trampolino di lancio proficuo e promettente; lavorare online, infatti, è la scommessa su cui tanti giovani vogliono puntare. CorriereUniv, in collaborazione con l’Istituto Europeo del Design (IED) riporta che: “ I Millennials e la Generazione Z sono la prima generazione nativa digitale, per loro lavorare con la tecnologia è normale, quindi anche la sfera delle professioni creative viene rivisitata e dialoga con la rete restituendo poi nuovi mestieri artistici rivisitati in chiave moderna”.

Digital360, uno dei più grandi network italiani, afferma che sono sempre di più i giovani che vogliono lavorare nel settore digitale, ma spesso c’è confusione, perché i mestieri sono molti; il web ha creato una sorta di realtà lavorativa strutturata e dalle ampie possibilità di scelta.

Lavoro digitale: accade a Rimini

Avviene anche a Rimini. Chi ha saputo cavalcare le dinamiche del web sotto il profilo artistico e creativo, diventando oggi una delle realtà locali più affermate, è il cattolichino Davide Bertozzi (nella foto): copywriter (scrittore di testi pubblicitari), direttore creativo e formatore di professione. Laureato in Sociologia della Comunicazione Pubblicitaria nel 2010, è oggi affermato freelance che coordina la comunicazione e scrive testi pubblicitari per diverse aziende del territorio. Bertozzi, inoltre, cura la comunicazione di un pilota della MotoGP, prendendo parte e presenziando in qualità di esperto della comunicazione a diversi campionati mondiali.

Davide, raccontaci. Chi sei e di cosa ti occupi sul web, nello specifico?

“Sono un copywriter, direttore creativo e formatore. Servono almeno quattro parole per descrivere quello che faccio, ma le cose stanno proprio così. Da 12 anni scrivo e progetto la comunicazione di aziende, prodotti e persone. Mi occupo di cose differenti ma collaterali tra loro: nello specifico, creo nomi di aziende e prodotti, scrivo headline (in campo pubblicitario l’headline è la frase che apre un contenuto, è il termine utilizzato per indicare il ‘titolo’ di un annuncio stampa, di un’affissione, di un cartellone, di un volantino e/o di altre tipologie di pubblicità) e campagne pubblicitarie, talvolta scrivo i testi di siti web, negozi online, etichette e confezioni. In sostanza, dunque, scrivo le parole che avvicinano le aziende alle persone e le persone alle aziende. In più, insegno il mestiere che svolgo, quindi scrivere e progettare, anche se mi piace dire ‘aiuto a pensare e trovare idee non convenzionali’.

Insegno direttamente nelle aziende, vengo chiamato dai responsabili del reparto marketing e comunicazione per aiutare o aggiornare lo staff; ma insegno anche in scuole professionali e università”.

Si tratta di un percorso difficile? C’è qualche “segreto” del mestiere per affermarsi in questo settore?

“In questo settore non penso che ci sia una chiave per arrivare al successo, e onestamente non so nemmeno se mi si addica questo termine. È però vero che, almeno nel settore in cui lavoro, sono abbastanza conosciuto.

Sono chiamato da aziende di tutta Italia, e questo è davvero gratificante, significa che qualcosa di buono devo aver fatto. Penso che tutto nasca dal condividere le proprie esperienze. Quello che fai e come lo fai, racconta chi sei. Ho sempre condiviso i miei casi di studio, raccontando spesso il metodo di lavoro e svelando ogni ‘trucchetto’ del mestiere. Questo non mi rende bravo, ma utile. O almeno credo. Racconto quello che faccio e come lo faccio per aiutare le persone a lavorare meglio, per aprire dibattiti e confronti, per spiegare che certi lavori si possono fare sia per aziende grandi sia piccole. Questo approccio mi ha permesso di costruire una solida rete di contatti, una vera community di professionisti e professioniste che svolgono il mio stesso mestiere, con cui condivido esperienze e perplessità, successi e scivoloni”.

Avevi deciso “a priori” la tua strada lavorativa una volta finito il tuo percorso di studi o hai maturato nel tempo la volontà di intraprendere questo tipo di strada?

“L’ho trovata nel tempo, ma non ne è servito tanto. Mi sono laureato nel 2010, erano gli anni della crisi economica e parecchie aziende erano in seriedifficoltà. I prezzi nel settore della comunicazione, poi, erano crollati. Nonostante questa situazione, qualche primo lavoretto l’ho trovato, i contratti però non erano stabili, la paga deprimente e già iniziavo ad accorgermi che gli orari di ufficio, sempre uguali tutti i giorni, non mi stavano un granché bene.

Non significa che non avessi voglia di lavorare, ma già in quegli anni pensavo al fascino di potermi autogestire; e quell’idea mi piace ancora, e parecchio! Dormire un’ora in più se mi va, fare una pausa a metà pomeriggio, e magari recuperare di sera. Insomma: un po’ di elasticità. Questa situazione mi ha portato a pensare che aprire la partita Iva potesse essere una buona idea, o almeno che valesse la pena provarci. Così l’ho aperta senza pensarci troppo, con il senno di poi penso di essere stato un po’ azzardato, ma ha pagato”.

Quali sono i pro e in contro di questo lavoro?

“Ci sono molti pro e molti contro. C’è però da dire che alcune difficoltà possono trasformarsi in cose belle, o almeno a me è accaduto così. Mi spiego: è durissima farsi conoscere, farsi pagare il giusto (a volte anche farsi pagare e basta) e mantenere costanti le entrate. Il fatto è che quando nessuno ti conosce, è dura ottenere un compenso decente e di conseguenza fare in modo che ogni mese il fatturato sia regolare. Ecco perché serve una community, ecco perché serve raccontare quello che sappiamo fare e come lo facciamo, ed ecco perché serve pazienza. Questa è la cosa più dura.

Capiteranno mesi con utili pari a zero, o quasi, e lì il morale finisce a terra, la notte non chiudi occhio, a volte ti deprimi e pensi di mollare.

È necessario essere forti, per molto tempo. A me son serviti circa 7-8 anni per intravedere la luce. Qualcuno magari ci mette di meno, ma di sicuro c’è chi molla prima, e non lo biasimo. Quando, invece, si prende il via e si inizia a lavorare con costanza, arrivano i pro: orari flessibili, potere contrattuale, rifiutare clienti e progetti nocivi, investire ogni istante della giornata sul proprio brand e sui propri progetti. Non è tutto rose e fiori, ovviamente, ma è un tipo di vita che a me piace. In sostanza bisogna imparare a incassare e a evitare i colpi, a lavorare bene e tanto, quando serve. Poi è importante ricordarsi di darsi delle pacche sulla spalla, di tanto in tanto, godere delle gratificazioni e riposare”.

Federica Tonini