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L’accoglienza non va in vacanza

Cinquemila. Tante sono le registrazioni di profughi ucraini sul territorio riminese. Una parte, però, nel frattempo, è tornata nel Paese d’origine, o è stata trasferita in altre città attraverso le procedure del Ministero degli Interni. Le polemiche che hanno accompagnato questi trasbordi, non hanno impedito a decine di persone di salutare la provincia di Rimini e le amicizie e i parenti che abitano sul territorio.

Dopo oltre 70 giorni di guerra, com’è la situazione in Riviera?

Lo chiediamo all’assessore alla Protezione Sociale del Comune di Rimini Kristian Gianfreda.

“Rimini è stata la città in valore assoluto con più arrivi di profughi ucraini registrati in Italia. E va sottolineato il grande lavoro svolto dal nostro territorio nel dare una risposta immediata alla popolazione ucraina in un momento così drammatico. Nessuno, da quando è qui, si è ritrovato in strada o senza un tetto”.

Una situazione che, in periodi di estrema emergenza come questo, e con un così alto numero di arrivi in contemporanea, purtroppo, spesso, è tutt’altro che improbabile.

“Rimini, fin da subito, ha dato prova di un immenso ‘esercizio’ di accoglienza e ospitalità, riuscendo ad andare anche al di là della rigida gerarchia delle competenze, della dialettica ‘questo spetta a me, quello a te’, che molto spesso non è che un alibi per non assumersi responsabilità e far rimanere tutto immobile, così com’è. Da noi c’è stato uno scatto in più, una presa di coscienza collettiva, che, nonostante le inevitabili difficoltà e i soliti ‘ingombri’ burocratici, ci ha permesso di portare avanti un buon lavoro di squadra, in cui ognuno ha apportato un contributo fondamentale”.

Quali sono i giocatori di questo team?

“ Mi riferisco, ad esempio, al lavoro della Prefettura, all’aiuto del Ministero dell’Interno, alle famiglie
che hanno aperto le loro porte di casa per offrire un posto letto, agli alberghi che hanno messo a disposizione le loro camere. E, ancora, al lavoro del Comune, tra cui l’avere creato il ‘Mir:Rimini per l’Ucraina’, un organo dedicato all’assistenza degli ucraini che sta svolgendo un servizio centrale soprattutto sul fronte delle consegne alimentari. Penso poi al mondo del terzo settore, architrave del nostro welfare, senza cui tutto non sarebbe stato possibile”.

Assessore Gianfreda, non può negare però che in tutto questo percorso, non sono mancati momenti di criticità.

“Anche le situazioni più spigolose e complesse non hanno mai offuscato o tolto il focus dall’obiettivo primario, dalle vere priorità”.

Intanto sta facendo notizia anche l’iniziativa dei dipendenti del Comune di Rimini.

“Si tratta di un gesto di altruismo. I dipendenti hanno deciso di sottrarsi un’ora di stipendio dalle proprie buste paga per darlo ai profughi. Una chiamata alla solidarietà che sta crescendo di giorno in giorno, e che oggi conta 259 adesioni. Qui c’è una comunità che ‘fa la sua parte’, e fin da subito, dagli organi ‘ufficiali’ fino ad arrivare ai cittadini”.

L’emergenza, però, non è finita, e non si può fare nessuna previsione in merito. Anche gli interventi solidali, ad esempio, delle famiglie, rischiano di andare in difficoltà nel lungo termine, ad esempio di fronte al pagamento di bollette, affitti, inflazione ecc.

“È bene infatti continuare a mantenere alta l’attenzione sulla questione e soprattutto cominciare a lavorare in prospettiva, sulla gestione della seconda fase di questa emergenza umanitaria, che vedrà al centro l’aspetto dell’integrazione lavorativa e la domanda sul come governare il sistema assistenziale nel lungo termine. Un tema del quale ne discuteremo presto come amministrazione comunale, insieme ad altre realtà del territorio, per fare il punto sui nuovi orizzonti e le nuove attività da realizzare”.

Quali forme di aiuto possono essere attivate nell’immediato?

“Da pochi giorni, è anche online la piattaforma del Dipartimento di Protezione Civile che permette ai rifugiati (con sistemazione autonoma) di richiedere un contributo di sostentamento per sé, per i propri figli o minori di cui si ha la tutela legale. Una boccata d’ossigeno in più per gli ucraini, un altro tassello che si va a integrare all’insieme di azioni dei territori”.

Nelle prime settimane del conflitto si è recato in Ucraina.

“Insieme all’associazione Papa Giovanni 23, mi sono recato prima al confine polacco dove si ammassavano i profughi e quindi a Leopoli. È venuto il momento di riprendere coscienza e zaino per aiutare chi ha bisogno, facendo quel poco o quel tanto che ognuno di noi può fare. Questa è la prima guerra di chi è nato sotto la bandiera della pace e delle armi ha solo sentito dire o raccontare. Leopoli confina con Rimini, Italia”.