Home Attualita La vera malattia degli anziani? La solitudine

La vera malattia degli anziani? La solitudine

Esistenze sempre più frenetiche. Figli sempre più impegnati. Risultato: anziani sempre più soli. I progressi della medicina hanno migliorato le speranze di vita, ma la sua qualità non è detto che vada di pari passo. I nonni vivono più a lungo, ma in che modo? E aiutati da chi? Il sentimento di solitudine tra di loro è ancora realtà, anche tra i decani riminesi. Storie che talvolta si intrecciano con patologie gravi, come l’Alzheimer: una sfida per tutta la famiglia. E per far fronte a tale emergenza, sul territorio sono dispiegate diverse “antenne”: quelle dei tanti volontari di parrocchie e associazioni che prestano assistenza a chi rimane solo coi propri capelli bianchi, fornendo svariate occasioni agli anziani per trovare un volto amico. Il messaggio che proviene dal mondo del volontariato è unanime: “Nonni, non nascondetevi dietro al televisore. Uscite di casa e chiedete aiuto!”.

Il giro nonni. La Caritas di Rimini da dodici anni organizza il giro nonni con cui ogni giorno all’ora di pranzo raggiunge a casa con un piatto caldo una quarantina di anziani. Altri, nel pomeriggio, vengono aiutati nelle loro commissioni e vengono, ad esempio, accompagnati alle visite mediche.
“Seguo questo progetto dall’inizio e sono sempre più convinta che non ci sia peggiore malattia della solitudine – racconta la responsabile, suor Stefania – sì, hanno problemi legati all’anzianità, ma si sentono tremendamente soli e attendono l’ora del nostro arrivo con ansia, vivono in attesa che suoni il campanello. Vedono i volontari a cui poter parlare come il raggio di sole della loro giornata”.
L’isolamento non fa male solo allo stato d’animo, ma anche alla persone che arriva a non avere più cura di sé, né della casa.
“Con le nostre visite notiamo talvolta condizione di scarsa igiene e cerchiamo di farglielo capire. Ecco perché siamo ben contenti di accompagnare le signore dalla parrucchiera quando ce lo chiedono, perché significa che sentono ancora la propria femminilità e desiderano averne cura. A volte ci siamo ritrovati a riordinare la casa, anche se non sarebbe compito dei volontari. Quando la situazione è critica, sensibilizziamo i servizi sociali”.

Lo sportello di San Raffaele. Da tredici anni la parrocchia di San Raffaele (Rimini) ha attivo uno sportello per gli anziani data l’alta concentrazione della zona (Ina Casa), un vecchio quartiere popolare con famiglie stabili da decenni.
“Abbiamo cominciato questa attività proprio per la grande richiesta, dato che gli anziani lamentavano la non curanza nei loro confronti – raccontano i volontari – oggi per fortuna gli 80enni sono più in gamba e c’è una buona vita di vicinato. Però sono ancora tanti quelli che nessuno ascolta più per mancanza di tempo, correndo da una parte all’altra”.
Lo sportello è aperto tutti i giovedì pomeriggio, dalle 16 alle 19, ma i 15 volontari si cimentano anche visite a casa. Ci sono i nonni che, invece, preferiscono una telefonata.
“Facciamo chiacchierate anche di un’ora. Siamo la loro valvola di sfogo, ci raccontano tutta la loro vita, dal passato agli acciacchi odierni”.
C’è chi magari racconta cose già dette, ma poco importa: quando chiude la conversazione dicendo “stanotte dormirò meglio grazie a te” – come capita spesso sentirsi dire – è presto perdonato.
A preoccupare sempre di più è l’Alzheimer: “Abbiamo visto un crescendo di casi nel nostro quartiere ed è dovuto al fatto che le persone vivono sempre più a lungo. Ad essere aiutate devono essere soprattutto le famiglie che a fatica sanno come gestire questi casi. Non è semplice accettare la malattia come il non essere riconosciuti dal proprio genitore; c’è chi non lo vuole accettare. Nei casi peggiori la famiglia si distrugge e per il malato è un disastro, perché può diventare persino aggressivo. Fino a dieci anni fa c’era poca informazione. Oggi le cose vanno meglio e le famiglie possono contare su maggiori iniziative e professionalità”.

Mirco Paganelli