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La Sagra guarda ai giovani

Ballett Preljokaj - PH Riccardo Gallini

Dedicati ai giovani alcuni appuntamenti della Sagra, settantaseiesima edizione, al Teatro Galli  

RIMINI, 22 ottobre 2025 – Fra le tante ramificazioni della programmazione malatestiana ci sono, al di là dei grandi appuntamenti sinfonici, serate altrettanto interessanti e in grado di riservare piacevoli sorprese. Soprattutto se si tratta di scoprire giovani protagonisti. È il caso di Agnese Contadini, un’arpista che alla Sala Ressi ha dedicato un concerto interamente al proprio strumento musicale, sviluppando un percorso – testimoniato dall’eloquente titolo Corde senza tempo: l’arpa attraverso i secoli – che spaziava da

L’arpista Agnese Contadini – Ph Riccardo Gallini

Domenico Scarlatti e Bach ai giorni nostri, passando attraverso l’ottocento. Né è mancato un plusvalore didattico: la Contadini ha fornito una preziosa guida all’ascolto, soprattutto per quel pubblico che non ha troppa dimestichezza con uno strumento relegato, di solito, negli angoli più remoti dell’orchestra. La serata ha messo in evidenza l’assoluta padronanza tecnica della giovane musicista e, al contempo, una apprezzabile originalità nella scelta dei brani. Scarlatti ad esempio, con i suoi echi spagnoleggianti, è apparso perfettamente adatto all’arpa, anche se i due brani proposti erano stati concepiti in origine per clavicembalo. Più azzardata forse la trascrizione della celeberrima Toccata e fuga in re minore di Bach, nata per organo, ma che proprio per questo ha fornito un esempio d’intelligente – e stimolante – “infedeltà esecutiva”. Piacevolissime poi le Variazioni sulla Norma di Bellini, realizzate dal celeberrimo arpista britannico Elias Parish Alvars, attivo in anni in cui spopolavano soprattutto le trascrizioni per pianoforte di grandi capolavori operistici. È stato tuttavia il celebre Impromptu di Fauré (1904), non a caso nato espressamente per arpa, il miglior esempio delle potenzialità dello strumento. L’incursione nel novecento è proseguita con Henriette René e la sua suggestiva Pièce Symphonique (1907), proseguendo con Caroline Lizotte e la sorprendente Suite Lizotte, articolata in tre movimenti: dall’ascolto emerge una resa acustica del tutto inedita, con effetti sonori paragonabili a quelli ottenuti con altri strumenti – dal pianoforte agli archi e ai fiati – nella seconda metà del novecento.

Al Teatro Galli, protagonista del consueto appuntamento della Sagra con il vincitore dell’ultima edizione (2024) del Premio Venezia, dedicato ai neodiplomati di età inferiore ai ventiquattro anni, è stato quest’anno Gianluca Bergamasco. Il pianista ha dedicato la prima parte del suo concerto a Kreisleriana op.16, una delle composizioni più belle e visionarie di Schumann. Realizzato fra il 1830 e il ’39, questo capolavoro è articolato in otto brani ispirati alla figura di un artista dall’animo diviso in due (Kapellmeister Kreisler) nato dall’inesauribile fantasia letteraria hoffmanniana: un’identificazione tra compositore e personaggio profetica di quel cammino che condurrà Schumann alla pazzia. Bergamasco ha saputo darne una lettura lucida e al tempo stesso appassionata, scandendone gli aspetti virtuosistici sempre con un’assoluta padronanza della tastiera, valorizzando i momenti di intimo ripiegamento interiore con struggente intensità (c’era bisogno di amplificare il pianoforte?). Nell’esecuzione si coglieva poi la naturale inclinazione del giovane musicista nell’affrontare i passaggi contrappuntistici: qualità che ha avuto modo di ribadire nella Suite inglese di Bach, proposta in uno dei bis. La seconda parte era invece dedicata alla Sesta sonata in la maggiore op.82 di Prokof’ev: una pagina di rara esecuzione, scritta alla vigilia della guerra, nel 1940. Gli echi del difficile momento che si stava vivendo emergono attraverso l’altalenante contrasto fra emozioni differenti: il pianoforte li ha scanditi in modo nitido, con un energico primo movimento, un secondo quasi grottesco, un terzo che è un nostalgico valzer, fino al movimento conclusivo su cui aleggia un cupo senso di minaccia.

Di tutt’altro segno il concerto del 16 ottobre, quando sul palco del Galli si sono trovati i giovani riminesi appartenenti alla Einstein Youth OrcheStar, Banda Giovanile e Conservatorio Maderna-Lettimi, con la direzione di Davide Tura: una di quelle rare serate in grado d’illuminare il futuro di ottimismo. In programma la Missa Pacis di Amintore Galli, qui riorchestrata dallo stesso Tura: una pagina utile a ribadire il legame tra il compositore e Rimini, oltre che di forte significato simbolico in questi tempi di guerra (il brano ebbe il suo battesimo alla fine del primo conflitto mondiale, presso la chiesa riminese di San Giovanni, il 14 settembre 1919). La presenza di tanti ragazzi sul palco – fra strumentisti e l’imponente coro – rappresentano un monito insostituibile, in un periodo, come questo, in cui la pace viene spesso violata o quanto meno messa in discussione. Il programma è proseguito con la Sinfonia n.1 “Oceani” di Enzo Bosso, di cui è stato eseguito il primo movimento, Atlantico. Ma la sorpresa migliore è arrivata dall’ultimo brano in programma, Equus del compositore statunitense Eric Whitacre: un brano molto suggestivo scritto nel 2000, classificato dall’autore come espressione di «minimalismo dinamico», e che meritava davvero di essere conosciuto. Tura ha saputo guidare la nutrita compagine musicale con determinazione ed esiti – al netto di qualche inevitabile sbavatura – davvero encomiabili, tenuto conto delle difficoltà poste dagli aspetti ritmici.

Anche se l’inserimento può apparire anomalo nell’ambito della programmazione malatestiana, un appuntamento – e fra i più affollati – era dedicato al balletto. Gli splendidi danzatori del Ballet Preljocaj, prestigiosa compagnia di Aix-en-Provence creata oltre quarant’anni fa dal coreografo francese di origini albanesi Angelin Preljocaj, hanno proposto Il lago dei cigni in una personalissima rilettura del capolavoro di Čajkovskij, che risale a cinque anni fa. È una rivisitazione della storica coreografia di Petipa (Bol’šoj, 1877) che passa anche attraverso qualche inserimento musicale non a firma del compositore russo, ma molto più moderno. Il trasferimento ai nostri giorni della tormentata storia d’amore e sortilegio tra Siegfried e Odette rappresenta per Preljocaj un ritorno al balletto narrativo. Con l’aiuto di suggestive immagini video, la vicenda viene tuttavia permeata da inquietudini di segno totalmente contemporaneo, diventando occasione per esplorare i rapporti genitori figli, oltre a temi come la crisi climatica e la questione ambientale, con i loro inevitabili riflessi sul futuro del pianeta. Semplicemente magnifici i ventisei danzatori – le ragazze rigorosamente scalze – che hanno animato il palcoscenico del Teatro Galli: bravissimi nel coniugare poesia e forza.

Giulia  Vannoni