Ne sanno qualcosa gli uomini. Quando escono con una donna sanno già che all’ora stabilita non è mai pronta! Non parliamo poi dei matrimoni: l’arrivo della sposa è rigorosamente in ritardo!
Lo stesso accade nella Presentazione dei doni all’altare (pane e vino), che avviene lentamente, attraverso una processione accompagnata dal canto (Ordo Generale Messale Romano, 74). Perché complicare un gesto così semplice? Perché non mettere i doni vicino all’altare e risparmiarsi anche la ricerca dei volontari?
Per lo stesso motivo per cui una sposa, il giorno delle nozze, fa tardi. Varcare la soglia di casa e uscire incontro allo sposo non è infatti un mero spostamento: in quello spazio-tempo ella cambia la sua condizione di vita, da nubile a coniugata, da figlia a sposa; in quel passaggio spazio-temporale matura la sua ultima decisione di donare se stessa a un uomo e di consegnarsi definitivamente a lui. Una processione, quella nuziale, che esige di essere rispettata e scandita fin nei minimi particolari.
Nella Presentazione dei doni all’altare la Chiesa-Sposa si presenta, si offre e si consegna nelle mani di Cristo-Sposo, nei segni del pane e del vino e con i doni per i poveri (v. Catechesi 49-51). Tale gesto liturgico deve quindi <+nero>richiedere tempo<+testo_band>, perché non è gesto facile. Ogni membro dell’assemblea deve infatti maturare questa offerta di sé, questa consegna, la libera scelta di unirsi al Corpo spezzato e al Sangue versato di Cristo.
La processione (dal lat. processio: pro=davanti, cedere=andare, avanzare) è un procedere che coinvolge tutto il corpo ed è un gesto comune a ogni religione e cultura. Essa manifesta che non si cammina solo per arrivare, ma anche per “vivere la strada”. In questo senso, il pellegrinaggio, come il corteo (sindacale, politico, sociale, ecc.), è il vertice della processione, poiché esperienza in cui la cosa più importante accade lungo il tragitto e non al raggiungimento della meta. Nel camminare, inoltre, l’uomo manifesta la sua dignità e nobiltà, perché è l’unico animale che cammina “a testa alta”, con la schiena dritta. Quando va in processione, quindi, non si affretta né si trascina, ma procede lieve e al tempo stesso energico; con grazia ma anche vigoroso; nella fiducia, ma sicuro. Allo stesso modo il cristiano va verso Dio.
La Liturgia Eucaristica prevede diverse processioni, tutte accompagnate dal canto : la processione d’Ingresso e dell’Evangeliario(v. Catechesi 10.38); quella della Preparazione dei doni e quella di Comunione (OGMR 44). Nelle prime due Cristo-Sposo entra solenne in mezzo al suo popolo radunato e si intrattiene a parlare con lui cuore a cuore; in quella offertoriale, invece, è la Chiesa-Sposa ad andare incontro allo Sposo; nell’ultima, Dio e il suo Popolo consumano finalmente la loro unione, come termine del loro procedere liturgico.
Un procedere che vede proprio nell’agire di Dio, nella Storia della salvezza, il suo fondamento. Nella Scrittura leggiamo infatti che Dio si fa incontro all’uomo e cammina con lui nel deserto, nelle tribolazioni (guerre, malattie, carestie, ecc.) e perfino nella via dell’esilio quando l’uomo, cioè, si allontana da Dio (Es 13,21; Gs 1,9; Lc 24,15). Dall’altra parte, però, vediamo anche un popolo che accoglie l’invito di Dio a fare alleanza e che gli va quindi incontro: ne costituiscono un esempio i Salmi dell’ascensione (120-134), che i pellegrini cantavano salendo ogni anno a Gerusalemme e la processione del popolo d’Israele sulle mura della Città santa, tra i canti festosi, come per farsi abbracciare da Colui che la abita, e per prenderne – paradossalmente – possesso (Ne 12,27).
Essendo il donarsi della Sposa allo Sposo, la Processione dei doni è vista dalla liturgia anche come una gioiosa danza sulle note del canto, in cui il popolo procede con il piede dell’amore a Dio (pane e vino) e con quello dell’amore al prossimo (altri doni). L’hanno subito intuito, già nei primi secoli, le Chiese africane, che ancor oggi portano i doni all’altare incedendo a passi di danza. Il rito armeno, invece, come quello copto, vede il popolo danzare attorno all’altare, all’invito del diacono che canta: «Radunati in questa chiesa del Signore, nel luogo della santa oblazione, per compiere il mistero dell’imminente sacrificio, raggruppiamoci e danziamo intorno all’altare».
Certamente non si tratta di un balletto (come non lo è l’uscita della sposa dalla sua casa), ma la manifestazione nello spazio e nel tempo dei <+nero>movimenti del cuore <+testo_band>della Chiesa che va incontro allo Sposo e che si dona a Lui e con Lui al Padre. Un movimento che necessita di dilatarsi nello spazio e nel tempo per scandire la sua profondità. Alcuni Padri della Chiesa (Crisostomo, Basilio, Ambrogio, Gregorio di Nissa) apprezzavano la danza nella liturgia, ma erano fermi nel condannarla quando era solo movimento del corpo e non l’espressione dell’intimo che si rivolge a Dio.
La Processione dei doni è fatta da uomini e donne, anziani e bambini, ossia da tutto il popolo di Dio; deve essere bella e decorosa e far splendere tutta la liturgia per nobile semplicità (ORMR 42.44).
Concludo come il chirurgo, che a imitazione di Dio ferisce per sanare. Portare all’altare bibbie, fiori, lampade, libretti, ecc., oltre al fatto che dovrebbero essere donati ai poveri o lasciati alla comunità, è un controsenso: la Parola la dona solo Dio (e si è già portata in processione con l’Evangeliario!); l’uomo, semmai, l’accoglie nella relativa Liturgia. Fiori e lampade dovrebbero essere già sull’altare (v. Catechesi 13.47): portarle in processione è come dire che ci si è dimenticati! Per il resto, a questo punto, giudicate voi…
Elisabetta Casadei