La pena utile non sta in gabbia

    “Il carcere? Mi ha insegnato la ricerca spasmodica del denaro. E a scassinare casseforti: ero bravino, mi cercavano, per svolgere quel compito.” Benedetto, 65 anni, occhi profondi che ti si appiccano addosso, è un esperto: la prima volta in gabbia c’è finito a 14 anni. È finita per diventare la sua seconda casa, “dove la persona è un numero e la pena una vendetta. Quando esci, una volta pagato il conto, ti dicono: «sei a posto». Invece fuori dalle sbarre sei solo, hai perso tutti, lavoro e affetti, ti ritrovi in mezzo alla strada solo e con tanta rabbia in corpo”. Quel bisogno di tutto e subito porta quasi inevitabilmente, secondo Benedetto, a delinquere. Eppure quando la Polizia penitenziaria si chiamava agenti di custodia, un cartello campeggiava nei corridoi delle carceri: “vigilando redimere”.
    “Occorre passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero” rilancia Giorgio Pieri. Capelli cortissimi, pizzetto sempre ben curato e una elegante erre moscia, Pieri è il responsabile della Casa Madre del Perdono. Nella struttura di Taverna di Montecolombo vede materializzarsi, mese dopo mese, nei volti e sulla pelle di tanti recuperandi (solo nel 2009 sono passate 43 persone per scontare una pena alternativa) alcune intuzioni di don Oreste Benzi: “L’uomo non è il suo errore”, ad esempio. Occorre riscoprire la dignità che alberga in ogni persona, anche in chi ha commesso i reati più abominevoli. Perché il sistema carcerario non sia una vendetta e la pena diventi utile, la Casa Madre del Perdono dell’associazione Papa Giovanni XXIII e la Caritas diocesana (insieme ad altre associazioni della Regione) sostengono il progetto “Nonsolocarcere. La pena utile”, che troverà la sua conclusione il 6 maggio a Bologna.
    “Più carcere non equivale a più sicurezza. Anzi, spesso è vero il contrario” fa notare Paola Bonadonna, che per la Caritas si occupa dei recuperandi. I numeri sembrano darle ragione. In Italia su mille persone che escono dal carcere, 800 ritornano a delinquere. Su mille che scontano pene alternative, invece, solo quattro ci ricascano. Misure alternative, dunque? In Caritas accolgono detenuti agli arresti domiciliari da 18 mesi, qualcuno ha già scontato il suo debito con la giustizia ed ha spiccato il volo. Attualmente sono tre all’opera nella sede di via Destra del Porto. Mensa, pulizie, cucina, qualche visita agli anziani al pomeriggio: si rimboccano le maniche per le mansioni necessarie, senza scartare nulla. Due sono stranieri di 45 anni, il terzo è Enrico Giovanardi, 21 anni, perito chimico. Uno dei quattro che dettero fuoco al clochard Andrea Severi. “Quello fu un fatto gravissimo – ammette deciso il presidente della provincia di Rimini, Stefano Vitali – ma anche dopo sono successe cose importanti. Andrea ha avuto una casa ed ha riconsiderato la sua vita. E i quattro ragazzi stanno scontando una pena per il delitto commesso. Si sono messi a disposizione. È fondamentale pagare per tornare ad essere protagonisti nella società. Ragazzi come questi se entrano in carcere non ne escono più.”
    Alessandro Bruschi è uno dei “ragazzi come questi”, uno dei quattro piromani del clochard. Anche per lui si è aperta la pena alternativa: affianca 24 ore su 24 un disabile alla Casa Madre del Perdono. “La misura alternativa non è affatto una passeggiata, anzì è più difficile che non far nulla in carcere. – sgombra il campo da possibili dubbi, Giorgio Pieri – Il lavoro, gli incontri, e le altre metodologie adottate, aiutano a rompere con l’omertà e a ricostruire la persona.” Attualmente sono 18 i recuperandi, affiancati da 15 volontari, veri “apostoli della carità”. Alessandro, libero professionista, dopo un fallimento aziendale e delusioni familiari, si è aggrappato alla ricerca facile del denaro, è diventato spacciatore di droga, “Ma fino a quando non ho visto con i miei occhi gli effetti della droga sulle persone, non ho compreso il mio errore.” Ora è in rieducazione alla Casa Madre del Perdono, e tutti i giorni lavora fianco a fianco con diversamente abili alla coop La Pietra Scartata. “Sto recuperato la mia dignità, e il rapporto con mia figlia.” Non è una faccenda di buon cuore. Tanto meno un irragionevole desiderio di impunità. “La pena utile” è una questione di cultura e di buon senso. Ed economica. Ogni carcerato costa 200 euro al giorno. ogni cittadino italiano versa 500 euro l’anno per mantenere il sistema carceraio. Alla Casa Madre del Perdono e alla Caritas rieducano gratis.

    Paolo Guiducci