Home Cultura La notte della Nascita: un dipinto d’amore

La notte della Nascita: un dipinto d’amore

Esiste una pittura settecentesca che non ha nulla a che vedere con le grandi idee filosofiche, estetiche e spirituali con cui s’identifica d’istinto il XVIII secolo.
È un’arte limpida senza essere illuminista, è classica prima di ogni neoclassicismo e può attingere ai vertici del sublime senza essere pre-romantica. Discende dalla grande tradizione figurativa emiliano-romagnola della Controriforma, in particolar modo bolognese, del secolo precedente, e la prolunga fino all’età della Rivoluzione e oltre. Soprattutto si tratta di una cultura finissima e schiettamente religiosa, di significato cristiano anche quando prende come soggetto gli eroi della storia antica e della mitologia greca e romana.
Nel Museo della Città di Rimini sono custodite due preziose tele sacre provenienti dalla Collezione dei Francescani delle Grazie e che ben si addicono al periodo del Natale. Entrambe si richiamano all’insegnamento di un grande e longevo maestro bolognese, Carlo Cignani (1628-1719) che ha portato la sensibilità classicista del barocco felsineo a Forlì, generando una feconda scuola di temi mistici e devoti. La prima opera è un bell’ovale, un presepe essenziale e poetico: la Sacra Famiglia (nella foto) attribuita da Pier Giorgio Pasini ad Andrea Felice Bondi (1670-1733) che fu il migliore tra i due fratelli attivi nella bottega forlivese di Cignani.
Il dipinto è tutto incentrato nell’affettuoso rapporto di gesti e sguardi che si scambiano la Madre e il Bambino; più distante e nell’ombra resta Giuseppe in preghiera, compunto di fronte al mistero immenso e fragile che gli è stato rivelato e affidato e che deve saper custodire e proteggere. Il bambino è deposto nella culla di legno tra bianchi lini, metafora del sudario del sepolcro e dei lindi paramenti dell’altare eucaristico. Ciò che è avvenuto nella santa notte della Natività, non è solo un fatto miracoloso e straordinario – il Figlio di Dio diventato un umile fanciullo – ma una realtà nuova a cui il fedele è invitato a partecipare attraverso i sacramenti e il loro simbolismo di morte e rinascita. Per questo il pittore ha denudato la sua opera di ogni aspetto narrativo, paesaggistico o sensazionale; il suo presepio è un cameo di estrema sobrietà ed eleganza, finissimo e popolare allo stesso tempo: un quadro da meditare in silenzio, imitando le mani giunte di Giuseppe di fronte al dono celeste.
Ancora più struggente è lo scambio di carezze tra la Vergine e Gesù nella seconda opera: la Madonna col Bambino data un tempo alla bottega di Marcantonio Franceschini (1648-1729), anch’egli discepolo di Carlo, ma più esattamente – come suggerisce anche Massimo Pulini – opera del figlio di quest’ultimo, il valente Felice Cignani (1658-1724): lo dimostra anche una tela di simile tema e composizione della Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì. Lo sfiorarsi delle dita delicatissime, lo sguardo attento e intenso del Cristo rivolto a Maria e quello della Madre, amorevole e a occhi bassi, appena adombrati da una celeste, presaga malinconia, ci riportano a una dimensione stilistica da primo Rinascimento devoto. Si assapora, in questa privatissima Natività , un gusto colto per la purezza peruginesca e raffaellita che, nel XVII secolo, era stato anche di Guido Reni, di Sassoferrato, di Centino. La scuola di Cignani ha trasmesso, in forme accademiche, questa nobile eredità al Settecento romagnolo che vedrà attivi i suoi esponenti almeno fino a Paolo (1709-1764), nipote di Carlo e figlio di Felice.
In entrambe le pitture il fondo è una tenebra neutra e vibrante come il canto fermo della Chiesa antica: la Notte della nascita non è solo un avvenimento di più di duemila anni fa, ma – già iscritto negli arcani di antichissime profezie ebraiche e gentilesche – è trasmesso dai pittori su una quinta metafisica e misteriosa, quasi a evocare l’atmosfera sospesa di una fiaba.
L’incarnazione è avvenuta nel tempo opportuno in cui, per decreto divino, la storia e l’eterno si sono incontrati: la pittura rende presente agli occhi, qui ed ora, ciò che avvenne “In illo tempore”, in quel tempo. E ci comunica come la manifestazione di Colui che ha creato i cieli e la terra e la complessa compagine dell’universo, si è data, per paradosso, nella splendida debolezza di un bimbo bisognoso di tutto. La notte esalta il disegno, rende preziosi i colori, opalescenti e luminose le pelli: Luce che s’incarna, che “splende nelle tenebre”, come vuole Giovanni nel suo Vangelo.
Quegli affetti, che potrebbero oggi essere causa di uno stucchevole sentimentalismo, si rivelano a quest’epoca (e nei due dipinti qui presentati) fonti sicure e rigorose di silenzio e orazione e modelli di rara eleganza, di grazia sincera, senza forzature e senza affettazione. Esempi di semplice, pura bellezza, in un Settecento sacro che è l’altro volto del “Secolo dei Lumi”.

P. S.: Un consiglio di lettura: A. Bondi, E. Garavini, A. Giunchi, Splendori della Pittura Sacra in Romagna tra Controriforma e Barocco , catalogo della mostra, Forlì, 2010.

Alessandro Giovanardi