Home Vita della chiesa La Liturgia della Parola non è un monologo di Dio

La Liturgia della Parola non è un monologo di Dio

Non c’è maggior stizza di quando parli con una persona e questa non ti risponde. Le dài una bella notizia e questa niente; le racconti una disavventura, e questa niente; le dici che ti ha offesa e che sei disposta a passarci sopra, e questa ancora niente! Una stizza che conosce molto bene anche Gesù quando, perdendo un pò le staffe, ha “sbottato” con i suoi contemporanei: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11,17).
È ciò che rischia di accadere a volte alla Messa domenicale dopo aver ascoltato la Parola di Dio nella I Lettura (v. scorsa Catechesi). Con il Salmo responsoriale (dal latino respondere) la parola passa infatti ai fedeli, chiamati a rispondere alla Parola ascoltata, non con semplici parole umane, ma addirittura con la stessa Parola di Dio racchiusa nei 150 Salmi della Scrittura (Ordo generale Messale Romano, 129). Essi (dal greco psallein> = suono, canto) esprimono tutto lo spettro dell’umana sensibilità, facendola vibrare con la poesia e il canto: stupore, gioia, odio, pace, angoscia, paura, avvilimento, speranza, fiducia, ecc.

Il Salmo è per sua natura una Parola musicata e va perciò cantata ogni volta che è possibile: «Conviene che il salmo responsoriale si esegua con il canto, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. […] Se il salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione della parola di Dio» (OGMR, 61). Leggere un salmo è come leggere quindi il testo di una canzone. Per il suo forte legame con il canto, il Salmo responsoriale era anche chiamato semplicemente “Responsorio” dal lat. responsare (intensivo di respondere), che significa proprio “accompagnare con il canto”.

Il Salmo ha due scopi: favorire la meditazione della Parola di Dio, ascoltata nella I lettura, e la partecipazione attiva dei fedeli (OGMR, 61.37). Il primo scopo lo raggiunge proprio attraverso il canto, che “rallenta” la Parola responsoriale, e la “ripete” nel ritornello, che è parte integrante del Salmo, non separabile; il canto inoltre favorisce la memorizzazione della Parola: i canti dei salmi li ricordiamo infatti con maggior facilità e capita anche di cantarli durante la settimana, quando sentiamo il desiderio di ringraziare, lodare o lamentarci. La stessa funzione la svolgono i ritornelli, vere e proprie “ruminazioni” della Parola di Dio, “masticati” per secoli dai cristiani. Sant’Agostino riporta alcuni ritornelli che erano cantati nella Chiesa di Ippona: gli stessi che cantiamo anche noi, come «Confidiamo in Te Signore e invochiamo il tuo nome», oppure «Volgi il tuo sguardo dai miei peccati e cancella le mie colpe».

Il secondo scopo è raggiunto con il coinvolgimento dell’assemblea nella Liturgia della Parola, in cui è chiamata a esprimere la risposta della Sposa (la Chiesa) alle parole dello Sposo (Dio). Per questo è importante che l’assemblea partecipi sempre in qualche modo al Salmo responsoriale (anche solo con il ritornello) e non sia solo uditrice; e magari – ripetiamo – anche con il canto, poiché, come insegna Sant’Agostino, «cantare è proprio di colui che ama!». Questo dialogo tra lo Sposo e la Sposa richiede inoltre che i fedeli siano consapevoli delle risposte che esprimono (e non meri pappagalli!): per questo devono essere aiutati – ammoniscono i vescovi – con catechesi o brevi monizioni sui Salmi per accogliere la Parola e per volgere i Salmi stessi in preghiera della Chiesa (Ordo Letture Messale, 19).

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che il Salmo responsoriale non è una pausa tra la I e la II Lettura, un intermezzo, ma parte integrante e costitutiva della Liturgia della Parola, altrimenti Dio farebbe un monologo!
Allo stesso modo dovrebbe essere chiaro che il Salmo non può essere sostituito con altri testi (OGMR, 57): quale parola umana potrebbe rispondere alla Parola di Dio se non è Dio stesso a donargliela? Dal IV sec. il Libro dei Salmi (Salterio) è il “libro dei canti” della Liturgia, proprio perché la Chiesa ha ben compreso la differenza tra le parole e la Parola. Ci hanno già provato in passato a sostituire i testi (circa VII sec.), ritornando poi sui propri passi: non ripetiamo lo stesso errore!

Si comprende, infine, che il compito del Salmista è di rilevante responsabilità e professionalità, poiché ai requisiti tecnici, spirituali, liturgici e biblici propri del Lettore (v. Catechesi: Proclamare, 32) deve aggiungere anche l’arte del salmodiare (o salmeggiare), la buona pronuncia e la buona dizione (OGMR, 102; OLM, 56), coniugando cioè l’arte del proclamare con quella della musica e della poesia. Un ministero certamente difficile da esercitare, tanto che spesso il Salmista è sostituito dal Lettore (OGMR, 99). Un ministero però antico (IV sec.), che era esercitato sul primo scalino (= gradus) dell’ambone, per cui ancor oggi il Salmo responsoriale è chiamato anche Graduale(OLM, 19) e può essere cantato/recitato anche in altro luogo rispetto all’ambone (OGMR, 61; per esigenze legate appunto al canto, come l’amplificazione, la posizione del direttore di canto, ecc.). Un ministero che proviene soprattutto dalle Chiese d’Oriente: rivalutarne il ruolo e l’esercizio può essere uno dei tanti “passi ecumenici” possibili anche nelle nostre parrocchie.

Elisabetta Casadei