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La gioia dell’incontro inaspettato

La lettura di Sorpresi dalla gioia mi ha suggerito tre osservazioni: sullo stile dell’Autore, sul titolo, su un tema capitale del libro.
1) I contributi e gli approfondimenti teologici del vescovo Francesco sono un veicolo non secondario della sua sollecitudine pastorale. Conoscendo la biografia intellettuale dell’Autore si potrebbe pensare, con una punta di malizia, che egli fatichi a distaccarsi dal suo passato di raffinato studioso della Scrittura: l’antica propensione allo scandaglio “scientifico” del testo biblico, oggi inevitabilmente subordinata alle urgenze del mandato episcopale, sembra prendersi di tanto in tanto una piccola rivincita. Nasce così – magari in tarde ore serali, rubate al riposo – una splendida catechesi destinata ai palati più esigenti, ma proprio per questo fin troppo sofisticata rispetto al bisogno di orientamento spirituale ed ecclesiale del “gregge”.
Tuttavia, chi cedesse ad una visione siffatta prenderebbe un granchio colossale. L’attitudine “riflessiva” di mons. Lambiasi va letta e compresa sullo sfondo del pontificato di Benedetto XVI. Il Vescovo di Rimini sta offrendo, nel segno del papa, un cammino verso la struttura basilare, verso i dati immediati del Cristianesimo. È, per così dire, un’opera di “essenzializzazione” del messaggio cristiano della quale gli uomini di oggi hanno particolarmente bisogno. Non è forse vero, infatti, che la trasmissione della fede “di padre in figlio” si è da tempo inceppata, nella nostra società? Ora, quando si slabbrano le maglie della tradizione, quando viene meno un’atmosfera favorevole ai valori religiosi non si rimane cristiani, né tanto meno lo si diventa, per consuetudine o per inerzia. Si diventa cristiani soltanto in virtù di una decisione squisitamente personale. Ma per decidersi bisogna avere davanti a sé un’immagine attendibile del Cristianesimo, non la sua caricatura. La capacità di richiamarci ai tratti elementari ed irrinunciabili dell’esperienza cristiana, propria di questo volume, è il carisma specifico dei “dottori della chiesa”. Essi difendono in tal modo la fede dei “semplici” dalle visioni riduttive o adulterate che circolano nella piccola ma influente repubblica dei saggi e degli opinion makers.
2) Che cosa sia la fede dei semplici lo si evince facilmente dal titolo del libro. Anzitutto una “sorpresa”, cioè il contraccolpo nell’animo di un incontro inaspettato. L’uomo davanti a Cristo si ritrova al cospetto di una presenza eccezionale, talmente “fuori scala” da suscitare l’irresistibile desiderio di fermarsi nella sua ombra: “Maestro, dove abiti?”. La fede, pertanto, non nasce dall’introspezione, non sboccia nella solitaria esplorazione del proprio mondo interiore, non è il frutto di una particolare tecnica o disciplina spirituale. Il cristiano, lungi dall’essere un visionario, uno che fantastica intorno al Dio ignoto (come fa l’esoterismo di ogni tempo), è piuttosto il testimone oculare di un evento che coagula sorprendentemente ogni sua attesa e fa vibrare, con un’intensità sconosciuta, tutte le corde della sua umanità.
La seconda parola del titolo è “gioia”. Chi non indulge a rappresentazioni idilliache della vita umana sa che la gioia è un sentimento passeggero e ultimamente ingannevole. A meno che non si venga raggiunti e persuasi da queste parole: “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Allora possiamo lavorare ed amare gratuitamente, lasciando a Dio la scelta del giorno e dell’ora nei quali matureranno i frutti della nostra dedizione. È quel che ha fatto, per esempio, una carissima amica prima di concludere – la scorsa settimana – il suo cammino terreno. Sposata e madre di quattro figli, Maurizia era la classica persona “di seconda fila”: poco appariscente, poco eloquente, nessuna volontà di primeggiare o di distinguersi con qualche iniziativa memorabile o gesto eclatante. Eppure, nel corso di una dolorosa malattia è affiorata la sua statura umana gigantesca: nascosta agli occhi del mondo, assediata dal male, Maurizia ha offerto se stessa a Cristo per il bene del marito, dei figli, di tutti i suoi cari, e lo ha fatto, anche negli ultimi istanti, con la serena certezza di essere ascoltata ed esaudita. Come le acque di un fiume carsico di tanto in tanto risalgono in superficie da profondità abissali, così la corrente della Divina Misericordia ci ha nuovamente raggiunti nel volto trasfigurato e nel fiducioso abbandono della nostra amica. La gioia è la forza che, anche da un letto di dolore, cambia impercettibilmente le sorti del mondo.
3) Il libro è, tra le altre cose, un antidoto efficace contro una sottile tentazione alla quale siamo tutti esposti, credenti e non credenti: quella di prendere dall’albero del Cristianesimo i frutti che meglio assecondano il nostro gusto “esistenziale” o il nostro temperamento “politico”. Un indizio di questa propensione è oggi la tendenza a separare e a contrapporre tra loro la chiesa “madre” e la chiesa “maestra”, il vangelo della “carità” e il vangelo della “verità”, l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Il vescovo Francesco ci dà la chiave per intendere e custodire l’unità di tali dimensioni. Dobbiamo sottrarci, innanzi tutto, ad un luogo comune della nostra cultura: il Cristianesimo non è una declinazione specifica di una potenzialità generale dell’umano, chiamata volta a volta “benevolenza”, “altruismo”, “solidarietà”, ecc. Questi termini lasciano intendere che l’avvento di un mondo pacificato e fraterno dipenda dalla nostra iniziativa, la quale – pur tra mille approssimazioni ed errori – potrebbe conseguire i suoi scopi etsi Deus non daretur (anche nell’ipotesi che Dio non esistesse). Ma il cristiano sa che la cura dell’uomo per l’uomo, a dispetto dei migliori propositi, è sottilmente minacciata dall’inestirpabile veleno del tornaconto e del vantaggio personale: solo Dio è il vero, disinteressato filantropo. Per questo la fede rappresenta il primo e fondamentale gesto di carità verso l’orfano e la vedova, verso il povero e lo straniero: “Solo lo stare ai piedi del Signore ci consente di non dimenticare mai che Dio ci ha amati per primo e ci ha salvati non perché ce lo siamo meritato, ma per pura grazia” (p. 144). Consapevoli di dovergli tutto ciò che di amabile, nobile e giusto alberga nel nostro cuore, possiamo lietamente portare i pesi gli uni degli altri con slancio appassionato e inesauribile creatività. “Ecco la radice dell’ingiustizia sociale: l’egoismo, che alligna nel terreno di coltura dell’incredulità e dell’idolatria. Ed ecco la vera soluzione del problema: la fede in Cristo risorto” (p. 176).

Nevio Genghini