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LA GAZA DEI GIOVANI TRA DOLORE E AZIONE

I giovani hanno smesso di stare in silenzio di fronte al genocidio in atto a Gaza. Dalla comprensibile (seppur sterile) indignazione suo social, si è passati a una sempre crescente partecipazione attiva, nel dibattito e nelle manifestazioni pubbliche

Parlare di Gaza significa confrontarsi con un dolore che sembra non avere confini. È un nome che evoca macerie, assenze, voci spezzate; ma è anche una parola che attraversa le coscienze e le rende inquietate, vigili. Non occorre essere lì per sentire il peso di quella ferita: è sufficiente ascoltare il silenzio che cala nelle piazze, i gesti collettivi che nascono dal basso, le domande che i più giovani pongono a se stessi e agli adulti. La distanza geografica non basta più a schermare il coinvolgimento. Ciò che accade a Gaza si riflette qui, nella vita quotidiana, tra scuole, associazioni, comunità.

Negli ultimi mesi Rimini ha vissuto una stagione di impegno civile attorno alla causa palestinese, in cui i giovani sono stati protagonisti. La seconda edizione di ‘Voci per Gaza’, tenutasi il 12 e il 13 settembre alla Serra Cento Fiori nel parco XXV Aprile, ne rappresenta un esempio tangibile: un evento che ha intrecciato musica, cibo, laboratori e momenti di riflessione, promosso da EducAId, Risuona Rimini e Cooperativa Cento Fiori, con il patrocinio del Comune e il sostegno della Regione Emilia-Romagna. Non si è trattato solamente di raccogliere fondi per interventi umanitari, ma di creare uno spazio di ascolto e confronto, un luogo dove la comunità, soprattutto la più giovane, si potesse sentire parte attiva nel portare un messaggio di solidarietà e speranza. Ma questo fermento non è nato dal nulla. Nei mesi scorsi la città ha vissuto momenti di grande impatto emotivo e simbolico, come ‘L’ultimo giorno di Gaza’, un memoriale che ha trasformato Piazza Tre Martiri in un luogo di silenzio e memoria: 1.136 vestitini da bambino distesi sull’asfalto, uno per ogni piccolo ucciso nel conflitto. Le fiaccolate, come quella dello scorso 1° giugno in Piazza Cavour, hanno raccolto oltre 2.000 persone in una veglia silenziosa, leggendo ad alta voce i nomi dei bambini morti sotto ai bombardamenti. E poi ancora, non meno significativa è stata l’adesione all’iniziativa nazionale ‘50mila sudari per Gaza’, che a maggio ha portato studenti e cittadini ad appendere lenzuola bianche dai balconi, trasformando case e strade in un segno collettivo di lutto e protesta.

Accade anche a Rimini in questi mesi, tra impegno attivo e riflessioni

La voce dei giovani

Ed è proprio tra i giovani adulti che cresce una nuova forma di responsabilità e partecipazione. Non vogliono essere semplici spettatori: attraverso eventi, laboratori, mostre, proteste pacifiche e momenti di confronto, stanno costruendo uno spazio di dialogo in cui la pace non è solo un ideale, ma una pratica quotidiana. Ogni gesto diventa una forma di resistenza civile. C’è in loro una voglia di capire e di agire che va oltre la semplice indignazione digitale: cercano parole, azioni e strumenti per trasformare il senso di impotenza in energia creativa. Per molti di loro, Gaza non è solo un’informazione passiva, ma una questione di coscienza che spinge a mettere in discussione modelli e narrazioni, sostenere i diritti umani e cercare soluzioni attraverso dialogo e solidarietà.

Ascoltiamo le riflessioni direttamente da alcuni di loro.

Gaza mi pone domande che non posso eludere: come affrontare l’ingiustizia senza cedere all’impotenza? Come trasformare la consapevolezza in responsabilità concreta? – si chiede Filippo, 28 anni, di RiccioneNon è sufficiente indignarsi: la sfida sta nel tradurre il turbamento in pratiche che costruiscano senso, dalla discussione informata alle iniziative culturali che stimolino riflessione ed empatia. Credo che la pace sia un atto quotidiano di coraggio: un equilibrio fragile tra ascolto, confronto e scelta consapevole, che richiede di interrogarsi su ciò che possiamo davvero cambiare, dentro e fuori di noi”. Dello stesso avviso è Alice, 24 anni di Rimini: “Mi colpisce l’umanità che si affaccia nelle immagini e nelle storie di Gaza: bambini che giocano tra le macerie, famiglie che cercano normalità in mezzo alla distruzione. È impossibile restare neutrali davanti a questo. Pace, secondo me, significa assumere una responsabilità emotiva e intellettuale: sentire il dolore degli altri come se fosse il nostro e trasformarlo in azioni che costruiscano comprensione, dialogo e speranza. Essere giovani oggi significa accogliere questa empatia senza lasciarsi sopraffare, e usarla per contribuire a un cambiamento reale”. “La guerra a Gaza è un crimine quotidiano contro l’umanità. – le parole di Federica, riminese di 26 anni, forti e decise – Non possiamo più accettare che la distruzione, la fame e la paura siano considerate ‘normali’, che ci si abitui a vedere bambini uccisi come fossero numeri su uno schermo. Quello che mi fa rabbia è l’indifferenza di chi chiude gli occhi, la retorica della neutralità che tutela chi ha il potere e condanna chi non ha voce. Crescere significa smettere di stare a guardare, rompere il silenzio, opporsi alla violenza in ogni forma possibile, senza aspettare il permesso di nessuno. La pace non è mediazione: è scelta, e certe scelte non ammettono compromessi”.

E in questo intreccio di memoria e azione, sono infatti i giovani a segnare la direzione. Non con grandi discorsi o proclami, ma con gesti che parlano più delle parole: un lenzuolo appeso, un nome letto ad alta voce, un momento di silenzio condiviso. Sono soprattutto loro a ricordare che la pace non è un traguardo lontano, ma una pratica che richiede coraggio, attenzione e cura reciproca. Guardando a Gaza, imparano a guardare anche dentro se stessi: a interrogarsi su ciò che conta davvero, a chiedersi che tipo di mondo vogliono costruire. E forse è proprio in questa tensione, tra consapevolezza e azione, tra dolore e speranza, che si misura la forza dei giovani: non nell’attesa di cambiare il mondo, ma nel prendersene cura, ogni giorno, qui e ora.