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La Fanciulla sul set

Scena conclusiva della Fanciulla del West © Daniele Ratti

Nell’anno pucciniano in scena al Teatro Regio di Torino l’unico nuovo allestimento italiano della Fanciulla del West 

TORINO, 22 marzo 2024 – La redenzione di un uomo, così come la concepiva Wagner, passava quasi sempre attraverso figure femminili disposte a sacrificarsi, rassegnate a soccombere in nome di ideali più alti. Le donne di Puccini – tra i compositori italiani certamente quello che aveva meglio riflettuto sulle novità wagneriane – possiedono invece una loro precisa autonomia, anche se le circostanze le trascineranno quasi sempre verso una brutta fine. Fa eccezione Minnie, volitiva protagonista della Fanciulla del West: una donna emancipata che vive del proprio lavoro e combatte per il riscatto dell’uomo che ama; non è disposta a piegarsi alle fatalità, ma si adopera in ogni modo per salvargli la vita e tenerlo con sé, affrontando pure il pericolo – in un coraggioso testa a testa – di cadere nelle mani dello sceriffo che a tutti i costi vorrebbe farla sua.

Nello schermo il soprano Jennifer Rowley (Minnie) © Daniele Ratti

Non c’è dubbio, è il segnale di un grande cambiamento antropologico, che agli inizi del secolo scorso – La fanciulla del West debuttò a New York nel 1910 – stava investendo anche il melodramma: con il fiuto dell’uomo di cultura e di teatro, Puccini sceglie dunque un soggetto western (alla fonte c’è un dramma di David Belasco, come per Madama Butterfly) e scompagina i pochi cliché operistici che ancora sopravvivevano. Peccato che un capolavoro insieme così complesso e avvincente sia poco rappresentato, almeno in Italia. In questo centenario pucciniano si può contare soltanto su un unico nuovo allestimento, quello del Regio di Torino, affidato a Valentina Carrasco, che si è avvalsa delle scene di Carles Berga e Peter van Praet – autore pure delle luci – e dei costumi di Silvia Aymonino. La regista argentina immagina un set cinematografico, dove si aggira una troupe guidata da un personaggio in tutto identico a Sergio Leone: verosimilmente un omaggio al padre del western all’italiana, ma pure un tentativo di mettere in luce il sottotesto filmico che l’opera di Puccini sembra comunque possedere.

Più che gli aspetti visivi, però, nella Fanciulla sono decisivi quelli musicali. Quest’opera cattura l’ascoltatore, conquistandolo attraverso l’inesauribile e caleidoscopica ricchezza dei temi utilizzati da Puccini: non ci sono grandi momenti solistici destinati a imprimersi nella memoria (tranne l’aria del tenore, d’altronde brevissima, Ch’ella mi creda libero e lontano), ma si rimane affascinati da un linguaggio che, prendendo le mosse da un tardo wagnerismo, sembra spingersi fino a Stravinskij e, al tempo stesso, contamina la grande tradizione con echi di melodie d’ispirazione popolare. Alla guida dell’Orchestra del Regio, Francesco Ivan Ciampa ne ha tratto sonorità precise pur non manifestando troppa attenzione ai dettagli: da un lato lascia svaporare la dialettica fra materiali musicali “alti” (i continui echi della grande tradizione sinfonica) e “bassi” (i temi folclorici e popolari), dall’altro non differenzia le fisionomie vocali dei numerosi personaggi minori, che la partitura invece pennella uno a uno.

Seppure con qualche tensione nella zona acuta e un registro grave talvolta poco sonoro, il soprano Jennifer Rowley disegna una Minnie dalle molte sfaccettature: generosa e leale, amica e sorella dei tanti minatori che affollano il suo locale, ingenua e tenera nelle sue aspirazioni all’amore, risoluta e determinata quando deve difendere l’uomo che ama. Roberto Aronica, come Dick Johnson, riesce ad alternare i toni spavaldi agli slanci amorosi, pur non sostenendoli sempre con un’adeguata linea di canto. Gabriele Viviani ha interpretato lo sceriffo Jack Rance con qualche forzatura, rendendo forse il personaggio più trucido di quello che è. Oltre al terzetto protagonistico, fra gli altri minatori – spesso inquadrati nello schermo del film che contemporaneamente si sta girando, in modo da renderli più distinguibili – spiccava Sonora, ruolo dove il pur bravo baritono comico Filippo Morace non è apparso troppo incisivo. Il tenore Francesco Pittari ha interpretato il fedele cameriere Nick; il baritono Gustavo Castillo ha dato voce alla malinconia di Jake Wallace, il cantastorie; il basso Paolo Battaglia è stato un compassato Ashby, agente della compagnia di trasporti; e il Larkens di Tyler Zimmerman ha ben figurato nel suo attacco di nostalgia per la famiglia lontana. Tra gli altri, Adriano Gramigni interpretava il bandito meticcio José Castro, mentre Cristiano Olivieri era lo spasimante Trin e Alessio Verna si faceva carico di due ruoli brevi come Bello e Harry. Unica donna oltre alla protagonista, Ksenia Chubunova incarnava Wowkle, la fantesca indiana.
Teatro non gremito – data la scarsa popolarità del titolo – ma pubblico entusiasta. A dimostrazione della grandezza musicale di Puccini, e della sua capacità di parlare a tutti.

Giulia  Vannoni