Home Vita della chiesa La croce, la segniamo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore

La croce, la segniamo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore

Appena iniziata la Messa non si può non notare la presenza di un simbolo liturgico che d’ora in poi dominerà tutta la celebrazione: la croce. La troviamo già sull’altare o al suo lato appena entriamo in Chiesa; nelle celebrazioni solenni la vediamo entrare in testa alla processione (croce astile), preceduta dal profumo dell’incenso e scortata dai candelabri; la segniamo sul nostro corpo appena entriamo in chiesa, quando inizia la celebrazione e quando “andiamo in pace”; la segniamo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore prima di ascoltare la Parola e il sacerdote la segna sulle offerte prima della consacrazione. La contempliamo nell’abside, la veneriamo sulle vesti liturgiche e sul petto dei vescovi; fuori dalla Messa ci custodisce dall’alto dei campanili e ci abbraccia dai lati della navata (le croci di consacrazione della chiesa e quelle della via crucis).

Perché questa onnipresenza? Forse un delirante dolorismo ecclesiale? Tutt’altro: è sguardo pasquale!
Lo avevano capito bene i primi cristiani, che fino al IV sec. non osavano utilizzare questo simbolo, segno di obbrobrio e di disprezzo, ma appena cessate le persecuzioni, lo adottarono come segno di gloria e di resurrezione: divenne il trofeo di vittoria (trophaeum=l’armatura del nemico appesa a un tronco, dall’aspetto cruciforme), perché Cristo è tornato dalla morte e ne custodisce ora le chiavi (Ap. 1,18); la crux invicta e il labarum di chi cercava la vittoria; in essa fu riconosciuto l’albero della vita (Gn 2,9) e la regalità di Cristo sull’universo (Fil 2,10).
Furono i cristiani siriaci a collocarla per primi sull’altare (V sec.) e nella Chiesa latina arrivò solo nell’XI sec.; a tutt’oggi, deve avere due requisiti: portare l’immagine del crocifisso (perché non è la croce in se stessa che salva, ma il Crocifisso offertosi per amore) ed essere ben visibile sia dal sacerdote che dal popolo (Ordo Generale Messa Romana).

Ma qual è esattamente la sua funzione nella Messa? La croce dell’altare e quella astile (collocata su un piedistallo a lato dell’altare se non c’è già sull’altare) hanno una funzione simbolica ed essenziale (non accessoria!) nella celebrazione eucaristica. I simboli liturgici sono usati per rendere visibile l’invisibile, perché – come insegna Dionigi Areopagita (VI sec.) – «è impossibile all’uomo fissare la luce divina se questa non è ricoperta dai sacri veli», cioè dai simboli. Infatti, è impossibile ai fedeli vedere ciò che compie il Celebrante, che è Cristo “nel” sacerdote (!), se non attraverso i segni. Tra questi, la croce è quello principale, perché rivela l’essenza stessa della liturgia: l’attualizzazione nel tempo del mistero di morte e di resurrezione di Cristo, chiamato più brevemente Mistero pasquale (Catechismo, 1067). È quindi sulla croce che deve convergere tutta l’attenzione dei celebranti (sacerdote e fedeli); su di lei riposare lo sguardo degli occhi e del cuore di chi è invitato a partecipare al sacrificio della mensa del Signore. Posta sull’altare attualizza visivamente la profezia di Gesù: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

La posizione sull’altare, quindi, sembra preferibile a quella che la pone al suo lato e, per le ragioni appena espresse, non dovrebbe affatto essere fattore di disturbo – come spiegava un noto teologo (J. Ratzinger); anzi, può essere una buona “terapia liturgica di gruppo” per non cadere nell’eresia del clericocentrismo, in cui tutta l’attenzione nella Messa è concentrata sul prete.
Segno della funzione essenziale della croce sono anche i gesti di venerazione che le sono attribuiti: entra solenne nella processione d’ingresso per indicare che Cristo entra in mezzo al suo popolo come Re, Vittima e Sacerdote, ed è tenuta in alto, affinché «tutti volgano lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37) e comprendano che la salvezza ci è donata dalla croce; giunta all’altare, o posta sopra di esso, è incensata ancor prima dell’altare e, ancora, quando le offerte sono state preparate sulla mensa (OGMR, 277); terminata l’eucaristia, «conviene che rimanga vicino all’altare anche fuori delle celebrazioni liturgiche, per ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore» (OGMR 308); ad essa, infine, è riservata la genuflessione il venerdì santo, come al SS. Sacramento, in segno di adorazione (OGMR 274).

Concludiamo con la consueta provocazione. Un giorno lessi su una rivista la testimonianza di un giovane prete: diceva che affrontava la messa come un round di boxe, in cui una volta salito all’altare doveva cercare in tutti i modi di tener alta l’attenzione dei suoi fedeli (come non capirlo: tanti, ancora, giudicano una messa ben riuscita se il prete è stato brillante!). Quel giovane prete mi fece pensare alla storia dell’Asino delle reliquie narrata da Santa Teresa di Lisieux: vestito a festa per portare le reliquie dei santi in processione e vedendo che al suo passaggio tutti si mettevano in ginocchio e si facevano il segno della croce, l’asino si convinse di essere Dio! Attenzione però anche a noi fedeli: non scambiamo l’“asino” – con tutto rispetto per i sacerdoti e ricordando che tale si definiva anche il nostro don Oreste Benzi! – con Colui che porta sulla schiena!
Elisabetta Casadei

* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).