“La crisi ha messo a nudo le povertà”

    Un anno per dire no alla povertà. Dodici mesi per smuovere le coscienze di centinaia di migliaia di uomini e donne. 365 giorni per cercare di cambiare il mondo. La scorsa settimana si è concluso ufficialmente a Bruxelles, l’Anno europeo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Abbiamo chiesto un bilancio ad Adriana Opromolla, responsabile politiche sociali di Caritas Europa, e a Miriam Pikaar, coordinatrice della Campagna “Zero poverty” sempre di Caritas Europa.

    È stato un anno intenso, con tante azioni ed iniziative contro la povertà in tutto il Vecchio Continente. È possibile tracciare un bilancio e dire se si è mosso qualcosa a livello politico?
    “Fare un bilancio completo è difficile, però a Caritas Europa abbiamo avuto l’impressione che la sensibilizzazione sul tema povertà sia andata molto bene. Si sono raggiunti buonissimi risultati in termini di presa di coscienza, sia da parte dei cittadini, sia da parte delle istituzioni. A livello politico sicuramente l’Anno ha contribuito a catalizzare l’attenzione e motivare alcuni leader a prendere determinate iniziative. Nel mese di settembre, ad esempio, le presidenze spagnola, belga e ungherese hanno deciso di focalizzare la loro attenzione sulla povertà infantile. Di recente c’è stata una Conferenza di consenso sugli «homeless», e anche questo è da considerarsi un avanzamento. Poi c’è stato un ulteriore slancio verso la messa in opera della «Strategia europea sull’inclusione attiva», che esiste dal 2008, ma alla quale è stata data scarsa attuazione. La cosa più importante è che nella nuova Strategia Europa 2020 c’è un obiettivo – tra i cinque principali – che è proprio quello della riduzione della povertà: 20 milioni in meno di poveri entro il 2020. Al fine di realizzarlo si è anche costituita la Piattaforma europea di lotta alla povertà”.

    Avete riscontrato una reale volontà politica di contribuire alla soluzione dei problemi o le solite dichiarazioni di principio senza impegni concreti?
    “Dipende molto dagli interlocutori: presso alcuni abbiamo effettivamente riscontrato una reale volontà politica di cambiare le cose. Ad esempio, la presidenza belga si è molto distinta. Anche da parte della Commissione Europea c’è un grande impegno nello stimolare gli Stati membri a fare progressi. Quello che purtroppo rallenta questo slancio è il livello nazionale, perché non tutti i governi hanno la stessa volontà politica. Non abbiamo fatto classifiche tra i buoni e i cattivi, ma è significativo che l’Italia sia, insieme alla Grecia, uno dei Paesi che non prevedono un reddito minimo. Per noi questo è un punto dolente”.

    La crisi economica e l’aumento della disoccupazione hanno aggravato ulteriormente la situazione. C’è il rischio che l’azione complessiva sia stata, per certi versi, vanificata dalle congiunture?
    “Secondo noi non è stata vanificata. Certamente c’è stato un aggravamento delle condizioni generali che rende ancora più urgente l’intervento sociale. Il fatto di parlarne proprio in questa congiuntura ha contribuito ad accrescere la consapevolezza che c’era proprio una grande urgenza di intervenire. Per noi è stata una buona occasione per portare in superficie problemi che forse sarebbero stati meno in primo piano. Invece l’Anno europeo ci ha dato occasione di ricordarli continuamente e far capire l’importanza di una vera e propria politica sociale. È chiaro ci si è resi conto che bisogna scontrarsi con l’atteggiamento degli Stati che, di fronte ad una crisi, pensano prima di tutto a tagliare le spese sociali. E questa è una grave difficoltà”.

    L’impegno di quest’anno ha avuto buoni frutti in ambito ecclesiale ed ecumenico?
    “Molto importante è stata l’iniziativa ecumenica sulla povertà che si è svolta il 30 settembre, con organizzazioni protestanti, ortodosse e cattoliche (Comece, Eurodiaconia , Kek e Caritas Europa). Abbiamo organizzato una conferenza congiunta e prodotto un documento che analizza la povertà dal punto di vista cristiano e i problemi che si pongono oggi e le proposte politiche per i prossimi dieci anni. Questo sarà per noi la base per il prossimo lavoro. Così sarà più facile prendere posizioni comuni e promuovere iniziative presso l’UE”.

    Quali sono le priorità sociali per l’Europa e per la Caritas nei prossimi anni?
    “Quelle adottate dall’UE sono state annunciate in un documento uscito il 16 dicembre, ossia la Piattaforma europea di lotta alla povertà. Sono priorità che già si conoscevano. Alcuni temi sono classici: la crescita inclusiva, ossia rialzare i livelli di impiego con un forte accento sul tema del lavoro; la povertà infantile; la gioventù e il rischio di povertà giovanile; i lavoratori poveri e le giuste retribuzioni; gli anziani. A questi temi se ne sono aggiunti altri che colgono i nuovi problemi: i senza dimora; la povertà energetica; l’esclusione finanziaria (mancato accesso al debito) e l’indebitamento; i migranti; le minoranze etniche e i Rom; i disabili e i malati cronici. Come Caritas ne proponiamo altri, che abbiamo già introdotti tramite la petizione e la campagna Zero poverty. Vorremmo che l’UE e i governi si preoccupassero di assicurare una fornitura adeguata e di alta qualità dei servizi sociali, soprattutto l’assistenza a domicilio; riguardo alla povertà infantile vorremmo portare l’attenzione sui figli dei migranti che rimangono a casa, soprattutto nell’Europa dell’est; il reddito minimo adeguato che l’UE non riesce a portare avanti perché si scontra con la volontà di alcuni Paesi di non introdurlo, ma noi continueremo a sensibilizzare e fare campagne. Poi c’è il tema della partecipazione, della responsabilizzazione, rendendo il povero protagonista della sua vita”.

    Dottoressa Pikaar, che obiettivi ha raggiunto la vostra campagna?
    “La cosa buona è che diversi Paesi hanno reagito in modi differenti. Ad esempio: Caritas Italiana è stata molto forte sul versante giovani, con materiali per scuole, centri giovanili, parrocchie. In Italia c’è stato un buon impatto sul coinvolgimento e la motivazione dei giovani. Anche in Austria c’è stata molta attenzione sui giovani, mentre in Svizzera e in Germania si è lavorato più sul livello politico, su specifici temi sociali. In Albania si sono dati molto da fare nella raccolta firme (circa 16mila) per la petizione europea. Sicuramente la consapevolezza è cresciuta, ora le persone sanno che esiste una dimensione europea della povertà. Questa esperienza è risultata molto positiva per gli operatori Caritas che lavorano con i poveri. Siamo un po’ meno soddisfatti sull’andamento della raccolta firme: 135mila sono tante, ma speravamo fossero molte di più. Ma alla fine è più importante la mobilitazione reale delle persone”.

    Ci sono già progetti comuni in vista del 2011, Anno europeo del volontariato?
    “Certo. Ci sarà un coordinamento tra le varie Caritas che vorranno assumere iniziative in questo settore: Caritas Landern (Fiandre) prende il timone di questa iniziativa, poi c’è Caritas Italiana, Caritas Germania, Secours catholique (Francia), Malta, Portogallo e Romania. È una rete nella rete. Noi sosterremo tutte le Caritas in Europa ad essere attive e a organizzare eventi e assicureremo lo svolgimento fluido di queste iniziative. Non potremo organizzare una campagna della stessa ampiezza di «Zero poverty», che ha richiesto grande impegno e sforzi, ma continueremo a promuovere e sostenere le attività di volontariato a tutti i livelli perché è un punto molto importante dell’impegno cristiano”.