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La Canucéra, che tradizione!

La Conocchiaia, chi era costei? Una antichissima credenza romagnola, che si sviluppa tra la fine di febbraio e le idi di marzo. Tra credenze pagane e sentimento religioso e cristianesimo. Senza dimenticare il riferimento alla ‘conocchia’ che nel mondo antico è “l’attributo di tutte le dee che filano e tessono il destino”. Ma c’è anche chi pensa ad una vecchia tutta curva.
I giorni della Canucéra sono indicati come quei giorni  in cui vi è un’ora infausta del giorno sconosciuta a tutti,  è un fluido avverso che può essere nell’aria, nel sole  che trascorre fra le cose e le creature in modo misterioso.
La tradizione è ancora molto viva  specialmente in Romagna  tanto che gli anziani  riferendosi ad un individuo sempliciotto  o balordo  dicono:”l’è nasùe dè dla Canucèra”, cioè è nato nel momento infausto e sbagliato, oppure “ e pè che t’sia ned par la Canucèra” cioè è una persona sfortunata.

Il poeta dialettale, studioso e appassionato di riti e credenze romagnole Vincenzo Sanchini, regala questi suoi versi sulla Conocchiaia, uniti ad alcune interessanti e importanti note. Come al solito, in dialetto di Cerreto (Saludecio) con traduzione italiana.

Per  la  Canucéra

Nascia i de dla Canucéra

i cridiva i Rumagnòl

che pudesa sgné el distìn

‘d  chi me’ mènd apena nud.

 

Sce perché t’ cl’ ora cativa

‘d cli giurnèd ch’ l a n’ si saviva,

tra Fibrèr e i prim  ad Mèrz

j era insema u restchje ‘d nascia.

 

E infati chi  s’ sintiva

la sfurtuna a cora dréd:

“ U m’ per propria – s’ dis ch el gesa  –

d èsa nèd pla Canucéra”.

 

Quii po nèd ta li giurnèd

oltra  èsa sfurtunèd

u s’ pinsèva ancà ch’ i fosa

un po tèch, sce tel cirvèl.

 

Canucéra cum ho squèrt

l’è ch’i tchjéma da sti pèrt

fors la Pèrca di Rumèn

 

sa cla rèca… è le tli men.

 

Per la Conocchiaia

Nascere i giorni della Conocchiaia / credevano i Romagnoli / che potesse segnare il destino / di chi al mondo appena venuto. / Sì perché in quell’ora cattiva / di quelle giornate che non si sapeva, / tra Febbraio (ultimi tre) e i primi (tre) di Marzo / c’era insomma il rischio di nascere. / E infatti chi si sentiva / la sfortuna correre dietro: / “Mi sembra proprio – si dice che dicesse – / di essere nato per la Conocchiaia”. / Quelli poi nati in quelle giornate / oltre a essere sfortunati / si pensava anche che fossero / un po’ ‘tocchi’ sì nel cervello. / Conocchiaia come ho scoperto / è che chiamano da queste parti / forse la Parca dei Romani / con quella rocca… lì tra le mani.

  • “Chiaramente queste credenze trovano origine in un sostrato religioso pagano non completamente cancellato dal cristianesimo. Non sfugga in questo senso il riferimento alla ‘conocchia’ che nel mondo antico è “l’attributo di tutte le dee che filano e tessono il destino”. Sono divinità dalla valenza ambigua, come le latine Parche, le greche Moire, le germaniche Norne, che tessono il filo della vita degli uomini, ma anche lo recidono dispensando la morte. Quindi, tornando alla romagnola ‘Canucera’, è sensato ipotizzare che “forse, anticamente si alludeva alla Parca dei Romani che presiedeva alla vita e alla morte, raffigurata nell’atto di filare alla conocchia”. Fabrizio  Farneti, Oscuri presagi, Bononia University Press, 2006, pag. 231. 

    I de dla Canucéra 

    ‘Na cridénza ch’la s’arfà

    mi paghén, ‘na masa indréd,

    mai del tot però canc’lèda

    dep l’ariv po di Cristjén.

     

    Una vètchja s’ la su rèca?

    n’ènta invec a tèsa è le

    per de’ ‘n taj po ma che’ fil

    ch’a savìn l’è de’ campè?

     

    Resta e’ fat che propria ‘d lèja

    a cmandè s’ i ultme tre de

    (ad fibrèr, ‘d merz i prim tre)

    j era in gir ‘na grèn paura.

     

    S’ giva infat ch’ u j fos un’ora

    t’cli giurnèd ch’ l’ a n’ si saviva,

    (mai sintud so ti mi grep)

    mèl ‘na masa ch’ la purtèva.

     

    Bèh, isce per no sbajè

    ta chi de gnènch ‘na facènda…

    pudè l’ vidje spicialment

    che scigur po li si schéva.

     

    Ròbje insèma de’ pasèd

    t’un bel libre… ch’ ho truvèd.

    (Dli paur che so ma C-réd

    E n s’ è gnènca mai savud,

    fors perché la ‘Canucéra’

    l’è la rèca… ch’ la duvrèva).

     

    I giorni della Conocchiaia

    Una credenza che si rifà / ai pagani, molto tempo indietro, / mai del tutto però cancellata / dopo l’arrivo dei Cristiani. / Una vecchia con la sua rocca? / un’altra invece a tessere lì / per dare un taglio poi a quel filo / che sappiamo è del campare? / Resta il fatto che proprio di lei / a comandare sugli ultimi tre giorni / – di febbraio, di marzo i primi tre – / c’era in giro una gran paura. / Si diceva infatti che ci fosse un’ora / in quelle giornate che non si sapeva / (mai sentito su nei miei greppi) / che portava molto male. / Bèh, così per non sbagliare, / in quei giorni neppure una faccenda…/ potare le viti specialmente / che di sicuro poi si seccavano. / Cose insomma del passato / in un bel libro… che ho trovato. / (Paure di cui su a Cerreto / non si è neppure mai saputo, / forse perché la ‘Conocchiaia’ / era la rocca… che adoperava.)

    La Canucèra (la Conocchiaia) “personificata in una strega il cui potere malefico era solo di un’ora al giorno, nei sei giorni indicati (ultimi tre di Febbraio, primi tre di marzo), ma non sapendo quale, si evitava di fare certi lavori (potare le viti, tagliare la legna, potare gli alberi da frutto) per tutti i sei giorni”. Fabrizio Farneti, Oscuri presagi, Bononia University Press, 2006, pag. 231.