Home Storia e Storie La burocrazia che può uccidere

La burocrazia che può uccidere

Ritorniamo alla lettera inviata dal Governatore di Rimini al Cardinal Legato. Essa ha la data del 27 gennaio e contiene l’annuncio dei provvedimenti presi sabato 24 dal Consiglio Generale che, come leggiamo nel verbale dell’adunanza, ha approvato la nomina (con 44 voti contro tre) di una commissione, costituita da quattro suoi componenti, incaricati di stabilire un “piano” per riparare “al gravissimo disordine di vedersi morire di fame i Casarecci del Bargellato, ed altre Persone miserabili, che nulla possedono, come pur troppo sentesi sia sin ora seguìto”. Il Governatore spiega al Legato che “dalli [quattro] Deputati suddetti si sta ora divisando la maniera della sovvenzione se in natura, o in Denari, e come regolarla”. Lo scopo è uno solo, si ribadisce: “Sovvenire non meno ai Casarecci del Territorio, che nulla possedono, ma anche agli altri Poveri del detto Territorio, e della Città, che non possono colle di loro fatiche procacciarsi il vivere per mancanza di maniera d’impiegarle”.

Il Governatore supplica il Legato di concedere il permesso di “poter creare tanti Cambj, o Censi, quanti ne richiede l’accennato provvedimento, ed ogni altra circostanza del presente luttuoso emergente”.

La Congregazione dei Dodici, il 23 gennaio, ha preso atto che aumentano i depositi al Monte di Pietà, per la “tanta calamità” della straordinaria carestia la quale “affligge massime il Popolo minuto ridotto al pericolo di morire di fame”. Anche su questo problema viene coinvolto mons. Garampi. Al Monte di Pietà, si scrive a Garampi, “cresce ogni dì l’affluenza de’ Pegni quanto cresce la necessità di ritrarre la maniera colla quale procacciarsi l’alimento, ed evitare la morte, alla quale sentesi ogni giorno soccombere per la Fame molte, o più Persone in varie parti del nostro Territorio”. La Congregazione dei Pegni l’11 gennaio ha chiesto al “Pubblico” [Governo] riminese un sussidio di diecimila scudi “con i quali aumentandosi la Cassa del Monte, soministrargli la maniera di continuare il sovvenimento ai Poveri colla prestanza del Denaro sui Pegni, che esporranno al Monte” medesimo. Il 24 gennaio, il Consiglio Generale ha deliberato di prendere a censo quella somma, “con l’obbligazione de’ Beni, e ragioni della Comunità non solo, ma anche de’ Signori Consiglieri in solido e come singoli”. Garampi è pregato di muoversi a Roma nella sede che ritiene più competente, magari arrivando sino al Santo Padre, perché possa essere approvata la decisione presa dal Consiglio riminese.

Le cose cominciano a cambiare

Il 27 gennaio la Congregazione dell’Annona concede alla Municipalità di Rimini licenza d’imporre i debiti per la “provvista de’ Grani e Formentone nella presente carestia”. La comunicazione del Legato è del 7 febbraio. Il 30 gennaio il Legato concede al Governatore di Rimini i propri poteri in materia d’Annona, e la facoltà d’imporre censi e cambi (in quantità però discreta), nella “sventurata circostanza, in cui rimangono avvolti non meno gli Poveri di cotesta Città; ma moltissimi eziandio del Territorio, Bargellato e Contado per mancanza di mezzi, con i quali provvedere alle proprie quotidiane indigenze”. Il Legato definisce “provvidissima” la risoluzione presa “in tale emergenza di scegliere quattro Deputati, i quali con zelo, e buona carità invigilino al sovvenimento de’ suddetti Infelici”. Il 31 gennaio, dalle Congregazioni dell’Annona e del Buon Governo, parte alla volta di Rimini, dove giunge l’8 febbraio, la licenza per la nostra città di creare un debito di quaranta mila scudi “per i Grani, e Formentoni”.

Il piano di intervento

Attraverso l’organizzazione ecclesiastica della Diocesi, la commissione dei quattro consiglieri accerta che i poveri della Città sono 1.025 e quelli della Campagna 1.124, per un totale di 2.149 unità (su circa undicimila presumibili abitanti, cioè il 20 per cento).

Quando il 4 febbraio il Consiglio si raduna, si legge la lettera scritta dal Legato il 30 gennaio (dove si definisce “provvidissima” la risoluzione sulla commissione di quattro deputati), prima di esaminare il “piano” che mira ad un doppio risultato: “Il maggior sovvenimento pe’ Poveri” e “la minore spesa per la Comunità”.

Il “piano” destina (“o in denaro o in Farina di Formentone”), una cifra giornaliera che va da un bajocco e mezzo per i poveri di Città, al

solo bajocco per quelli della Campagna. In previsione di un peggioramento della situazione con l’aumento di numero degli “Infelici” bisognosi, si chiede lo stanziamento di tremila scudi, anziché dei 2.600 calcolati in base alle statistiche fornite dal Vescovo. Il “piano” non viene approvato subito, ma ogni risoluzione è differita “ad altro Consiglio”.

La stessa sera del 4 febbraio si informa mons. Garampi sull’avvenuta presentazione del “piano”: “E per far constare al mondo, che le nostre sollecitudini non sono state prevenute da spirito di predilezione per i solo Coloni, ma essere egualmente premurosi, ed interessati per tutti quelli che trovansi in estrema indigenza, si è col mezzo di una Deputazione fatta dal Generale Consiglio stabilito d’impiegare scudi 3.000 da prendersi ad interesse, in tante limosine da distribuirsi a quelle povere persone di questa Città, alle quali manca ora la maniera da procacciarsi il vitto colle di loro fatiche, o che sono in altra guisa miserabili, ed alli Casanoli delle Ville del Bargellato, che in questa stagione, in cui rimangono disoccupati dalle opere della Campagna, non hanno come sostentarsi”.

Gli attriti con Roma

I contadini, “sparuti ed infiacchiti”, chiedono alla Municipalità soccorso per non morire. Uno di loro va a Roma, e Serpieri lo incontra provandone tanta compassione. I Consoli continuano nel loro impegno, e sperano che altrettanto facciano i ministeri romani. I quali pongono ogni sorta di ostacolo sia per il debito a favore del Monte (che per mancanza di denaro non può più ricevere i pegni), sia per gli acquisti del formentone. Per il Monte, “Sua Santità ha creduto di non dover condiscendere all’istanza delle necessarie facoltà per le prestanze sui Pegni”, fa sapere Garampi in febbraio, consigliando pure i Consoli sullo stesso problema: nelle “presenti calamità parmi potersi prudentemente risparmiare questo nuovo eccitamento di controversia con Mons. Vescovo, del quale può aversene bisogno in queste stesse circostanze”.

Ormai i Consoli non hanno più alcuna speranza circa i diecimila scudi per gli acquisti del formentone a causa, essi sostengono con Serpieri, delle “incaute, o maligne” opinioni che girano a Roma sull’amministrazione riminese. Il nostro Consiglio Generale il 30 maggio delibera una terza “sovvenzione alli Coloni” con i sistemi usati per le due precedenti, lusingandosi (confidano i Consoli a Serpieri) “della ragionevole approvazione delli Signori Superiori”. E di qualche stanziamento. (La distribuzione di formentone dura ininterrotta sino al giugno ’67, ed ascende a 7.964 staja, per una spesa totale di 40.547 scudi.) Soltanto il 19 giugno Rimini può concludere, tramite Serpieri, un contratto di censo di tremila scudi relativi al “piano” urgente discusso il 4 febbraio al fine di soccorrere immediatamente chi non aveva nulla da mangiare. Il nostro cronista Capobelli può così commentare, per colpa della burocrazia romana, che “il Pontefice non pensò a solevar in conto alcuno li suoi sudditi”, ma dispensò soltanto indulgenze.

(3-fine)

Antonio Montanari