Home Vita della chiesa L’ultimo dono di Santa Klaus: l’unità delle Chiese

L’ultimo dono di Santa Klaus: l’unità delle Chiese

È famoso come San Nicola di Bari, ma è noto anche come san Nicola di Myra, san Nicola Magno, san Niccolò e san Nicolò. Ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e da diverse altre confessioni cristiane. Ma è noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di Santa Claus (o Klaus), colui che nelle regioni di Nord Est porta i doni di notte a dicembre. Eppure San Nicola ha un legame forte anche con Rimini.
La città infatti custodisce una reliquia, e tale custodia ha creato un ponte fraterno tra la Chiesa Cattolica e quella Greco-Ortodossa, ha messo in moto numerose indagini storiche sul culto del santo (che è stato co-patrono della diocesi dal 1600) e una rinnovata devozione, che si rinnova in occasione della festa di San Nicola, il 9 maggio.

Rimini infatti festeggia ormai da diverse stagioni San Nicola e quest’anno lo fa il 9 maggio alle ore 21 nella Chiesa di San Nicolò con una Celebrazione liturgica, che è fondamentale occasione di preghiera comune di cattolici e ortodossi. Il cammino ecumenico nella Chiesa cattolica e in quella riminese, a partire dalle indicazioni e dagli orientamenti contenuti nella Unitatis Redintegratio, si sta facendo strada e sta creando, giorno dopo giorno, nuove sensibilità al dialogo, al confronto, all’incontro e soprattutto muove verso una fraternità vissuta nel quotidiano e nel rispetto della propria fede.
A guidare questo cammino è il desiderio di sottolineare i tanti elementi che ci uniscono e di superare le divisioni che, il più delle volte, si sono costruite e cementate su terreni estranei all’originario senso religioso e soprannaturale.
Chi si incontra nella Chiesa con l’impegno ecumenico avverte immediatamente la forza dell’invito di Cristo che chiama tutti i suoi discepoli all’unità.

Diceva a questo proposito san Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Ut Unum sint:“L’ardente desiderio che mi muove è di rinnovare oggi questo invito, di riproporlo con determinazione, ricordando quanto ebbi a sottolineare al Colosseo romano il Venerdì Santo 1994, concludendo la meditazione della Via Crucis, guidata dalle parole del venerato fratello Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Ho affermato in quella circostanza che, uniti nella sequela dei martiri, i credenti in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente ed efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il Mistero della Redenzione, essi debbono professare insieme la stessa verità sulla Croce. La Croce! La corrente anticristiana si propone di mortificarne il valore, di svuotarla del suo significato, negando che l’uomo ha in essa le radici della sua nuova vita; pretendendo che la Croce non sappia nutrire né prospettive né speranze: l’uomo, si dice, è soltanto un essere terreno, che deve vivere come se Dio non esistesse.
A nessuno sfugge la sfida che tutto ciò pone ai credenti. Essi non possono non raccoglierla. Come potrebbero, infatti, rifiutarsi di fare tutto il possibile, con l’aiuto di Dio, per abbattere muri di divisione e di diffidenza, per superare ostacoli e pregiudizi, che impediscono l’annuncio del Vangelo della salvezza mediante la Croce di Gesù, unico Redentore dell’uomo, di ogni uomo?”
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È difficile restare insensibili o indifferenti a queste parole perché toccano le persone nel vivo della fede e costituiscono una sorta di cartina di tornasole sul ruolo e sul significato che la fede ha nella vita. E come può contribuire ciascuno all’unità dei cristiani? Una domanda che non va lasciata senza risposta. (t.c.)