Home Cultura L’Infezna, che parola è mai costei?

L’Infezna, che parola è mai costei?

Prima dell’invito del prof. Ennio Grassi a darle un’occhiata, “l’infezna” era una parola mai sentita pronunciare su a Cerreto neppure dai “vecchi”. Nel caso si sarebbe trattato comunque di “infeg-na”, visto che la “g” latina da cui deriva, dalle mie parti sarebbe rimasta tale (giogh e non zogh, per gioco). Interessato e incuriosito, ho allora preso in mano il Dizionario Romagnolo-Italiano di Gianni Quondamatteo, che riporta il termine tradotto con “sembianza, aspetto, immagine: le caratteristiche che contraddistinguono un volto, una persona”. Tra gli esempi di utilizzo che seguono, “l’ha l’infezna de’ su pori ba” (è la copia di suo padre, è tutto suo padre), penso possa bastare. Da effigie, dal lat. efffigie (m) , di effingere, “rappresentare in rilievo”, comp. Di ex, “fuori” più “fingere, modellare, rappresentare”. (Gabrielli, Dizionario della lingua italiana). Un vocabolo riminese che non si ritrova nel Vocabolario Romagnolo – italiano di Libero Ercolani e neppure in quello di Adelmo Masotti. Voce invece riportata nel Vocabolario romagnolo – italiano che nel 1840 ha pubblicato Antonio Morri con l’intento di dare – parole sue – “alleviamento e soccorso a que” Romagnoli, che abbisognassero di conoscere l’equivalente italiano ad ogni sorta vocaboli del loro dialetto…’ visto che quando poi l’Italia si unificò, su 25 milioni di italiani, solo 600.000 sapevano l’italiano letterario.
Troviamo però “infezan”, prima che per metatesi diventasse “infezna” e invece della traduzione Morri rimanda a “mostar”. Mostro, prodigio. Animale generato con membra fuor dell’uso della natura… figura di qualsivoglia cosa fatta alla peggio, o riuscita infelicemente. Ecco che allora stando al Morri per “l’ha l’infezna de su ba”, alla’ copia di suo padre’ andrebbe forse aggiunto “riuscita infelicemente”.
Chi non è d’accordo su questa interpretazione è l’ing. Gabriele Bianchini, che in “infezna” non trova niente di peggiorativo, e neppure lo soddisfano “l’effingere, l’effigie” di Quondamatteo, traducendo semplicemente “infezna” con un “dà l’idea”, “non è l’originale”. L’intento del Morri, come accennato, era di insegnare l’italiano, avvicinando semplicemente la trascrizione del dialetto romagnolo al suono della pronuncia, ma in questo caso si può dire che abbia romagnolizzato l’italiano. “Infezan, infezna”, termini colti, stessa “roba”, ma con quel qualcosina di particolare, in più rispetto ai dizionari, che solo i riminesi “dla cità” sanno dare.

Vincenzo Sanchini