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L’Aquila, con occhi diversi

Sono sedici i ragazzi che ancora una volta dimostrano di avere voglia di mettersi in gioco. Il gruppo del triennio delle superiori della comunità Papa Giovanni XXIII ha infatti scelto quest’estate di prendere l’aereo e di volare verso il territorio albanese. Dal 6 al 13 settembre scorso, sotto la guida di diversi accompagnatori, il gruppo ha vissuto un’esperienza missionaria che – ci assicurano- non sarà dimenticata facilmente.

Giovanni e Chiara, fratelli riminesi partiti col gruppo, raccontano l’Albania e le loro emozioni.

I primi tre giorni siamo rimasti nel nord dell’Albania a Scutari. Sono qui presenti diverse case famiglie della Papa Giovanni e sono proprio i membri della comunità ad accogliere gli Albanesi più sfortunati. Bambini o adulti, non importa. Chi non può vivere nella propria abitazione, chi una casa non la possiede più, trova aiuto in queste famiglie “allargate”. Sono tante le persone accolte, spesso una quindicina. Figure di riferimento all’interno della famiglia sono il padre e la madre, una coppia che mette a disposizione la propria casa per i più bisognosi. Possono trattarsi sia di albanesi che hanno fatto tutto il percorso con la Comunità, sia di italiani, insomma delle realtà molto eterogenee. Noi ci siamo inseriti proprio in queste realtà: divisi in gruppi, siamo diventati per qualche giorno parte delle famiglie. La cosa più bella in assoluto è che loro ci hanno fatto spazio nei loro spazi. Hanno liberato un letto, dove probabilmente dormiva qualcuno, per noi. Hanno saputo accoglierci come una vera famiglia. Contribuivamo così alle faccende di casa, anche semplicemente chiedendo dove fosse la scopa per spazzare. Bisogna poi considerare che un’organizzazione di una famiglia di quindici persone sia già abbastanza complicata senza la nostra presenza. All’inizio ci sentivamo così un po’ “tra i piedi” poi però, lo spirito che abbiamo percepito con molta semplicità, ci ha fatto sentire accolti. Per fortuna poi in Albania l’italiano lo insegnano anche in alcune scuole e non abbiamo avuto problemi su questo fronte. Senza dimenticare che i responsabili sono quasi tutti italiani, quindi ce la siamo cavata.

Operazione Colomba
e le vendette di sangue
Qui al nord oltre a queste case famiglie abbiamo conosciuto anche <+cors>Operazione Colomba<+testo_band> che lavora per riconciliare le famiglie che sono sotto vendetta di sangue, cercando di arginare queste “faide”. Un ragazzo di <+cors>Operazione Colomba<+testo_band> ci ha raccontato la loro missione, ci ha detto del sostegno che riservano alle famiglie. Non è tanto sostegno materiale, ma consiste piuttosto nella preparazione di un ipotetico percorso che le famiglie possono scegliere. Ci hanno poi condotto sulle strade di Scutari e,come dei veri turisti, abbiamo girato la città, visitando un castello davvero bello, il museo del carcere, le moschee, entrando in sintonia con un territorio certo diverso dal nostro.

<+nero>A sud nella Missione Diocesana
di Kucove e Berat
Ci siamo poi spostati al Sud con un paio di pulmini. Qui si trovano tre centri, uno diverso dall’altro, ma tutti gestiti da alcuni consacrati della comunità di Montetauro che vivono la loro vocazione in queste strutture, facendo vita di comunità e pregando assieme. Hanno anche un centro diurno e diverse altre attività, ma la cosa più interessante che fanno è un’opera di catechesi. Infatti, mentre al Nord la presenza cristiana è più forte, al Sud ciò non accade. Emblematico è il fatto che in questo territorio la loro sia l’unica chiesa cattolica. Quindi un servizio importante sono proprio questi gruppi di catechismo attraverso i quali si preparano i fedeli ai sacramenti. Abbiamo potuto incontrare un gruppo giovani e ascoltare la loro testimonianze, sentire le loro esperienze.
Le esperienze che abbiamo vissuto invece noi, sono state diverse, ma tutte toccanti. Siamo andati a visitare delle famiglie povere che i consacrati della missione seguono. Una cosa che colpisce davvero sempre in Albania è l’accoglienza. Percorrendo stradine di fango, siamo entrati in diverse case profondamente povere. Ma, appena si arrivava, seppur senza preavviso, veniva sempre offerto qualcosa. Incredibile come nella loro cultura sia sacra la figura dell’ospite. Testimonianza forte è stata quella di una donna che continuava a ripetere che per lei il dono più grande era la fede ed il fatto che lei e il marito si volessero bene. Tutto il resto non contava, non era importante l’avere una casa piccola né il non avere tutto il necessario per vivere. Ci ha dato da riflettere, perché noi siamo abituati ad avere tutto e comunque ci lamentiamo. Invece loro, nella semplicità, ci hanno aiutato a vedere le tante cose superflue che abbiamo e a cui non diamo abbastanza valore.

L’abbandono
dei malati di mente
Altro luogo che abbiamo visitato e che ci ha lasciato tante riflessioni è stato un centro statale che ospita malati mentali, situato in uno dei quartieri più malfamati del territorio. Siamo rimasti abbastanza colpiti di fronte alle condizioni nei quali le persone ospitate vengono lasciate a loro stesse. Gli operatori che dovrebbero lavorare in realtà non lo fanno e i malati mentali, sia persone adulte che bambini, per i quali ci dovrebbe essere un’attenzione particolare, non sanno come occupare le loro giornate. Per loro non vengono organizzate attività, sono semplicemente abbandonati a loro stessi. Così noi, abbiamo cercato di smuovere l’atmosfera, facendo animazione. Questa è stata per noi una delle esperienze più forti che abbiamo fatto durante il viaggio e da un certo punto di vista, abbastanza scioccante. Uno shock dato dal fatto che queste persone erano trattate davvero male, come se non fossero persone: erano sporchi, vestiti male, con 35 gradi erano abbandonati nel loro letto, tutti chiusi nelle coperte, senza neppure nessuno che si avvicinasse per chiedere loro come stessero. Un ambiente brutto e per nulla pulito: non un posto dove delle persone dovrebbero vivere.

Le testimonianze
di Marcello e Cristina
L’ultima sera siamo stati in una casa della Papa Giovanni a Tirana, che è stata aperta a luglio. Sta quindi ancora nascendo. È una struttura dedicata sia alla preghiera che all’accoglienza, alla condivisione e alla fraternità. Era precedentemente una capanna di Betlemme, poi chiusa e riaperta. Ora vengono accolti ad esempio senza tetto per un lungo periodo, cercando con loro di fare un percorso. Marcello, responsabile di questa struttura, ci ha raccontato la sua vita di consacrato che vive in Albania. Anche il suo incontro è stato molto significativo. Un altro volto che non possiamo fare a meno di citare è stato quello invece di Cristina, conosciuta al Nord. È lei la responsabile della Papa Giovanni che per prima, mandata da don Oreste, si è trasferita in Albania ed è dal suo impegno che sono nate tutte le altre realtà oggi presenti. Cristina è partita una ventina di anni fa senza conoscere nulla, sola, con un’amica. Col passare del tempo ha cercato di capire le problematiche di questo paese, di entrare in relazione con le persone, di pensare a dei progetti. Oggi si è sposata e continua a vivere in Albania, nonostante le difficoltà date dalle differenze culturali.
Anche grazie a lei abbiamo capito quanto il paese che ci stava accogliendo sia cambiato tantissimo recentemente e quanto stia continuando a cambiare tuttora. “Una ventina di anni fa la considerazione della donna era completamente diversa, non si poteva vedere una donna alla guida” ci raccontava. Oggi invece il paese si sta occidentalizzando, ma questo sia nel bene che nel male. Prima del percorso di occidentalizzazione gli anziani ad esempio venivano considerati con molto rispetto invece adesso vengono più facilmente lasciati soli, come succede da noi. I cambiamenti sono anche più strettamente pratici: tante sono le strade che si stanno costruendo per sostenere la candidatura albanese presentata all’Unione Europea. Una realtà diversa dalla nostra, spesso oggetto di pregiudizi che invece andrebbe solamente conosciuta più a fondo.

a cura di Marta Antonini