Home Editoriale L’albero della parola

L’albero della parola

Già simbolo della lotta per la liberazione durante gli anni della prigione, da cittadino libero Mandela si spese per ricostruire la pace in un Paese lacerato. Durante la sua presidenza lavora la Commissione per la verità e la riconciliazione, presieduta da Desmond Tutu, che avvia un percorso completamente nuovo. Con la consapevolezza che la pervasività della violenza generata dal crudele regime dell’apartheid aveva convolto bianchi e neri, la Commissione propone un’idea di giustizia basata sulla relazione. Ingiustizia e violenza sono rottura della relazione fra le persone. Ricostruire giustizia è, allora, ricostruire all’interno della comunità le relazioni violate. Riconciliare diventa “fare giustizia”. Per ricostruire le relazioni la Commissione usa uno stile specificamente africano, invitando ognuno a parlare per raccontare quanto abbia subito e quanto abbia commesso. In tutta l’Africa le relazioni passano attraverso la parola, la comunità nel villaggio si riunisce e vive intorno all’albero della parola, il grande albero che fa ombra e ospita dialogo, ascolto e decisioni. Andare di fronte alla Commissione, che rappresenta la comunità, a parlare per confessare azioni commesse e sofferenze subite è il modo per riaccendere le relazioni con la comunità di cui si è parte. Quel ristabilire relazioni si fa giustizia concreta, non ha bisogno di pene e indica la determinazione a tornare a camminare insieme. L’amnistia che la Commissione delibera non è impunità, ma volontà e segno di un cammino solidale comune per ricostruire il Paese. Quel parlare, confessare e condividere davanti alla comunità restituisce dignità alle vittime e permette di chiudere la porta sui veleni del passato e costruire insieme una nuova Nazione. Se Tutu ispira questo percorso, Mandela lo rende possibile politicamente con segni concrete. I suoi gesti da presidente coinvolgono tutto il Paese. Sorprende lo staff bianco della presidenza, timoroso che il nuovo presidente nero dia avvio a un ciclo buio di regolamento di conti, chiedendogli di accettare di lavorare per lui. Indossa la maglia numero di 6 del capitano della squadra di rugby, lo sport tradizionale dei bianchi, la notte della vittoria sudafricana ai mondiali del 1995. Infine, dopo soli cinque anni, annuncia che non si sarebbe candidato per un secondo mandato, gettando cemento nelle fondamenta della neonata democrazia sudafricana. Il processo di riconciliazione sudafricano, ha dato al mondo un patrimonio il cui valore maturerà nel tempo e segnerà in futuro la vita dell’umanità, come è avvenuto per la nascita della democrazia e del diritto o per la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Riccardo Moro