Home Attualita Irene Coralli: la ricercatrice delle microplastiche

Irene Coralli: la ricercatrice delle microplastiche

Parla correttamente tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e una quarta l’ha studiata (francese). Con due lauree da 110 e lode da cinque anni viaggia per il mondo per approfondire le tematiche ambientali, ma la sua base è il Tecnopolo di Rimini. Irene Coralli, 30 anni, è una ricercatrice che dall’Adriatico ai Mari del Nord analizza le microplastiche. Un esempio di come crescere professionalmente grazie alle competenze e alle strumentazioni della rete di ricerca dell’Alma Mater e dei Tecnopoli, con la possibilità di aprirsi ad esperienze internazionali.

La carriera universitaria della Coralli inizia nel 2011 a Ravenna, corso di laurea triennale in Scienze Ambientali. La triennale finisce con lode, per una tesi supervisionata dal prof. Alberto Modelli che ha analizzato la qualità dell’aria all’interno della Biblioteca Classense di Ravenna per la conservazione dei testi antichi. Dopo questo primo contatto col mondo scientifico si è iscritta al corso di laurea magistrale in Analisi e Gestione dell’Ambiente dell’Università di Bologna al Campus di Ravenna.

Nel 2017 trascorre 6 mesi con il progetto Erasmus+ presso la Facoltà di Ingegneria di Vitoria Gastieiz, nei Paesi Baschi. Qui inizia il progetto di tesi magistrale, conclusosi nuovamente sotto la supervisione del prof. Modelli. Altra laurea, altro 110 e lode, “ ma ancor prima di laurearmi, non vedevo per me altra strada che non fosse quella della ricerca”. Sempre sui contaminanti emergenti.

“La mia ricerca riguarda lo sviluppo di metodi analitici per l’identificazione e la quantificazione di contaminanti polimerici in ambiente. Al momento, i composti oggetto delle mie indagini sono i polidimetilsilossani e copolimeri (comunemente chiamati siliconi) e le microplastiche”.

Procedimenti complessi che però possono portare a risultati importanti per la salute dell’ambiente e dell’uomo.

“Da dottoranda in chimica analitica sotto la supervisione del prof. Daniele Fabbri, è arrivata la collaborazione col Tecnopolo riminese. Parte delle attività didattiche e di ricerca del prof. Fabbri si sviluppano proprio a Rimini, al Tecnopolo è a capo di diversi progetti che coinvolgono le scienze ambientali e cosmetiche, supportati dalla chimica analitica”.

Le microplastiche in ambiente sono un problema a livello globale che non ammette più esitazioni.

“Nonostante la Ricerca stia facendo enormi passi avanti, le domande in sospeso sono ancora tantissime. Le microplastiche rientrano nella categoria dei contaminanti emergenti poiché solo recentemente sono state identificate e classificate come tali, per cui i rischi che arrecano auomo e ambiente sono ancora sotto valutazione. Inoltre, nonostante le concentrazioni finora riscontrate siano relativamente basse, la loro presenza suggerisce la possibilità di squilibrio o danneggiamento degli ecosistemi.

Quindi, l’identificazione delle microplastiche e la possibilità di fornire dati in termini di concentrazioni di questi polimeri in matrici diverse (acqua, fanghi di depurazione, suolo…) sono punti fondamentali dell’analisi ambientale. Ed è qui che si inserisce la mia ricerca”.

Che l’ha portata da Rimini in Germania e fino al Mare del Nord.

“L’obiettivo era studiare le microplastiche nel Mare del Nord, ma a causa Covid alcune campagne sono saltate. Ci siamo così focalizzati sull’area urbana della zona di Holdenburg, in Germania.

Ora stiamo invece sviluppando studi sugli impianti di depurazione delle acque reflue in Romagna, metodo applicato a campioni reali, anche nel riminese”.

Dalla sua ricerca quale giudizio emerge sugli impianti riminesi e romagnoli?

“Siamo ancora nella fase di studio, va analizzata l’efficacia dei metodi tradizionali e di quelli più innovativi.

Lo studio sulle microplastiche è ancora estremamente nuovo, non esistono analisi sul rischio ambientale che effettivamente possono causare e sui risvolti per la salute umana. Non esistono normative e metodi standardizzati per capire quale impatto abbiano le microplastiche. Di conseguenza, anche i sistemi di depurazione delle acque e in generale di filtrazione di aziende e industrie non sono improntati in questa direzione. Lo studio è ancora troppo preliminare”.

La sua è un’attività che si esercita in laboratorio ma anche in altri ambiti, magari più divulgativi ma altrettanto importanti. Come l’incontro con giovanissimi studenti.

“Grazie al Direttore di UniRimini Lorenzo Succi, sono stata coinvolta all’interno di un progetto promosso dal Comune di Rimini. Ho avuto l’opportunità di tenere una lezione ad una prima media dell’Istituto Fermi di Viserba riguardo al tema ‘Plastic free’, con particolare riferimento alle microplastiche. Questa esperienza mi ha fatto capire quanto la divulgazione al pubblico sia importante.

Ho notato con piacere che argomenti che io tratto quotidianamente sono stati fonte di curiosità e interesse. La tematica analitica delle microplastiche è complessa e lo stesso vale per molti altri temi di ricerca. La comunicazione della ricerca scientifica serve a valorizzare una realtà spesso sconosciuta al di fuori dell’ambito accademico. Inoltre, può essere affascinante e interessante ascoltare l’esperienza di chi tocca con mano tematiche che al pubblico possono essere sconosciute o, peggio, distorte da una scarsa conoscenza”.

Come possiamo comportarci?

“È la stessa domanda che si sono posti i ragazzi, una generazione più attenta delle precedenti all’ambiente in generale.Noi cosa possiamo fare? Da cittadini un uso responsabile della plastica, che non significa non utilizzarla e demonizzarla. La plastica ha portato uno sviluppo impagabile per la società non solo in termini di confort ma anche medico e tecnologico. Va evitato però l’abuso, occorre ridurne il consumo, e procedere al corretto smaltimento.

La raccolta differenziata è un ottimo metodo: l’attenzione al fine vita per offrire un’altra vita. In generale, va promosso il corretto smaltimento dei rifiuti evitando di gettare nell’ambiente”.

Coralli, lei ha studiato e viaggiato tanto. L’istruzione italiana regge il confronto con quella europea?

“Nel mio percorso, ancora aperto, di studio, mi sono sempre trovata bene e così in ogni sistema educativo incontrato. Le realtà europee che ho conosciuto sono molto diverse da quella italiana per approccio della ricerca, ma è normale, sono frutto di una cultura e una tradizione differente.

Quella tedesca è una realtà organizzata e più snella in alcuni punti, specie burocratici, fattore che nell’avanzamento della ricerca può aiutare.

Ma la realtà italiana è buona e il nostro modello estremamente valido e competivivo”.

Come vede il suo futuro?

“Vorrei restare nell’ambito della ricerca sui contaminanti in ambiente, e Rimini sarebbe la prima scelta. Al Tecnopolo mi trovo benissimo.

Dal punto di vista scientifico, è una realtà più piccola rispetto alla sede centrale di Bologna e ciò può complicare alcune azioni ma regala più soddisfazioni quando si raggiungono i risultati.

Il gruppo a Rimini si è allargato: oltre al prof. e a me, comprende altre quattro persone. Mi piacerebbe continuare ad indagare l’ambiente a 360 gradi a Rimini”.