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Invito all’assemblea: il tempo dell’ascolto

Carissimi Fratelli e Sorelle

– così il Vescovo inizia la sua lettera di convocazione, rivolta a sacerdoti, consacrati e fedeli della Diocesi, all’ Assemblea diocesana che avrà luogo domenica 5 dicembre presso il Teatro Tarkovskij. –

Ora è arrivato il momento di dare forma al primo tratto del nostro percorso sinodale: quello dell’ascolto. Insieme alle Chiese sorelle del nostro Paese, vogliamo porci in ascolto di “ciò che lo Spirito stesso dice alle Chiese” (Apocalisse, cc. 2 e 3) Per disporci a questo ascolto, vorrei passare a declinare una serie di atteggiamenti e di scelte adeguate.

1. Occorre credere. E credere insieme.

Domandiamoci: quando diciamo di credere in Cristo, ci riferiamo forse a un personaggio, mummificato e fossilizzato, appartenente a un passato ormai remoto? O invece ad una persona, vivente e operante lungo l’inarrestabile, irreversibile fluire del tempo, il quale non si è stancato di mantenere la promessa: “ Ecco, io-sono-con-voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”?

E ci crediamo o no che il suo santo Spirito non si è volatilizzato, ma continua ad operare e a parlare alla nostra Chiesa riminese? Sì, lo Spirito del Risorto parla, ma non urla, bensì geme (Rm 8, 26).

Lo Spirito spasima anche con il grido della terra, si strugge con il grido dei poveri, si tormenta con il tormento della pandemia. Di più: si strazia con i lamenti degli emarginati, si affligge con le grida degli oppressi, si addolora con le lacrime dei feriti, si esprime con le critiche degli allontanati. E arriva a ‘messaggiarci’ perfino attraverso il disinteresse degli indifferenti o l’aperta contestazione degli avversi e degli avversari.

Ma ci crediamo o no che i gemiti indicibili del divino Consolatore sono le doglie del parto e non i rantoli dell’agonia?

2. Occorre cooperare.

Perché una comunità nasca e viva non basta la pura e semplice coesistenza tra diverse persone. Una comunità esiste solo se le diverse persone perseguono un fine comune. Ma non basta che questo fine sia uguale. Occorre che sia unico e condiviso.

Nel primo caso è sufficiente una semplice coordinazione tra i partecipanti. Nel secondo caso, invece, occorre una vera e propria cooperazione. Due giocatori di tennis, durante la partita hanno lo stesso identico obiettivo: quello di vincere. Ma solo uno, ovviamente, potrà realizzarlo, a condizione che tra i due giocatori si sviluppi una certa coordinazione.

In una squadra di calcio, invece, non basta la coordinazione. Deve realizzarsi una vera e propria cooperazione tra tutti i giocatori.

Altrimenti, questi potrebbero essere anche degli assi. Ma devono cooperare tutti insieme per dar vita a un vero ed efficace ‘gioco di squadra’.

Fuor di metafora, lo Spirito Santo ci fa “entrare in cooperativa” – in cooperazione sinergica – con la sua grazia, al punto che possiamo usare una formula bidirezionale: egli agisce con noi e noi agiamo con lui.

È lui a far sì che la Chiesa sia la vera Chiesa di Cristo, e non un arcipelago di isolotti, formato da interessi paralleli, che prima o poi finiscono per confliggere, anziché convergere in una viva, vitale comunione. Di qui, la sinodalità, che letteralmente significa camminare insieme sulla via di Cristo, sul passo degli ultimi, nella e con la sua Chiesa. Via di Cristo significa via che Cristo continua a percorrere camminando davanti a noi per guidarci. Accanto a noi per sostenerci.

Dietro a noi per difenderci. Seguire Gesù risorto nella e con la Chiesa significa camminare con questi pastori. Con questi fratelli e sorelle di questa precisa e concreta comunità.

Con questi poveri.

Sul passo degli ultimi. Significa mettersi in fila dietro al Risorto, e lasciarsi inondare dalla gioia di offrire un servizio alle ‘retrovie’.

Significa avanzare senza fughe solitarie, svicolando su altri sentieri. Significa rallentare il passo per farlo accelerare agli altri. Velocizzare la marcia per destare i sonnolenti.

Incoraggiare chi si è fermato.

Rialzare chi è caduto. Prendere per mano e, perfino, caricare sulle spalle chi non ce la fa proprio più.

Essere – come diceva don Mazzolari a proposito della parrocchia l’ambulanza per chi è ferito e non riesce più a camminare.

3. Occorre tacere e adorare.

Per vivere bene la fase dell’ascolto, dobbiamo imparare a “tacere e adorare” (Rosmini). Tacere per ascoltare la Parola di Dio, prima di tutto, per non ritrovarci meritevoli del suo insindacabile giudizio: “ I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).

Ma per non incorrere in sbagli e abbagli del genere, dobbiamo liberarci dalla sklerocardìa (=durezza di cuore), che è l’incapacità di cogliere gioiosamente la novità di Dio, propria di chi rimane chiuso nella sclerosi delle proprie abitudini protette, di chi dà la precedenza ai propri schemi blindati (religiosi, culturali, sociali ecc.) anziché ai fatti che effettivamente accadono e al primato della realtà.

Adorare, secondo una probabile etimologia latina, indicherebbe il gesto di mettersi la mano sulla bocca, come ad imporsi silenzio. Quindi ‘adorare’ sarebbe sinonimo di ‘tacere’.

Ha affermato al riguardo il Papa nel discorso tenuto per l’inizio del percorso sinodale, il 9 ottobre 2021: “Quanto ci manca oggi la preghiera di adorazione! Tanti hanno perso non solo l’abitudine, anche la nozione di che cosa significa adorare.

Ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali”.

Concludo con un pressante invito, a cui accennavo all’inizio di questa lettera. Per intercettare il percorso sinodale come una singolare grazia speciale. Per impostare correttamente la fase dell’ascolto. Per avviare la formazione dei gruppi sinodali.

L’invito è rivolto a tutti, perché si preghi e si faccia pregare per il felice esito dell’Assemblea. Ed è rivolto ai rappresentanti di parrocchie, di organismi e aggregazioni ecclesiali perché partecipino attivamente.

+ Francesco Lambiasi, vescovo