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Inverno demografico, Rimini è allarme

La conferenza episcopale italiana (CEI) ha recentemente pubblicato una ricerca scientifica sul “cambiamento demografico” che ha rilevanti implicazioni politiche e sociali.
Le caratteristiche della popolazione italiana che emergono dalla ricerca sono preoccupanti. L’Italia è un paese vecchio in cui il numero dei nonni supera ampiamente quello dei bambini, il numero di figli per donna (tasso di fecondità; TFT) è pari ad 1,4 ed è nettamente inferiore a quello necessario per assicurare il ricambio generazionale (2,1). L’Italia è il paese europeo più colpito dalla denatalità, appare destinato ad un inesorabile declino demografico ed i suoi problemi sono sotto i riflettori della comunità internazionale: il <+cors>Wall Street Journal<+testo_band> ha dedicato all’Italia uno speciale perché è il primo paese al mondo in cui ci sono più anziani (› 65 anni) che giovani (‹ 25 anni) e le Nazioni Unite considerano l’Italia un laboratorio per lo studio dell’estinzione delle popolazioni. Gli organi di governo del paese non sembrano rendersi conto della gravità della situazione né a livello nazionale, né a livello locale. Nella popolazione riminese il TFT è ancor più basso che in Italia (1,25) e segnala l’urgenza di interventi per invertire il declino, ma ciò nonostante i problemi della famiglia, il valore dei figli e il dramma dell’aborto non sono al centro dell’agenda politica riminese.

Le condizioni materiali (servizi per l’infanzia, tutela della maternità, tasso di occupazione femminile) e modelli culturali (individualismo, nuove forme di convivenza, prevalenza dei diritti dei coniugi su quelli dei figli) hanno determinato, in pochi decenni, un radicale peggioramento della situazione demografica: le nascite di bimbi italiani sono progressivamente diminuite passando da oltre 900.000 all’anno nel 1980 alle attuali 470.000. Il numero dei matrimoni si è dimezzato (da 400.000 a circa 200.000) pur includendo le duplicazioni costituite dai matrimoni successivi al primo (divorziati). La riduzione della nuzialità ha preceduto quella della natalità e ha attivato un circuito perverso con effetti demografici drammatici: se non si riesce a far crescere il tasso di natalità la popolazione residente è destinata ad estinguersi in poche generazioni. L’immigrazione è influenzata anche da questi processi di declino demografico che attivano meccanismi di compensazione automatici, processi di osmosi che colmano i buchi, un horror vacui delle popolazioni.

La drammatica situazione demografica della popolazione non corrisponde a scelte libere delle famiglie, ma è piuttosto la conseguenza di vincoli materiali, di inadeguatezze del welfare e di stereotipi culturali che ostacolano la formazione delle famiglie, rinviano il momento della riproduzione e talora impongono anche la rinuncia ai figli già concepiti. Questo aspetto è molto preoccupante perché fa emergere gli elementi di violenza sottesa ai dati: la riduzione della natalità non è affatto un desiderio reale, ma è piuttosto la conseguenza di vincoli esterni che ostacolano la realizzazione dei giovani e impongono il rinvio del matrimonio, aborti non voluti, rinuncia ai figli desiderati e altre scelte in contrasto con i desiderata, a causa di vincoli esterni alla coppia: rischio di perdere il lavoro, costo dei figli, assenza di servizi adeguati per l’infanzia. L’ ISTAT ha condotto un’indagine sul desiderio di figli ed i risultati dimostrano che le famiglie italiane desiderano generalmente più di 2 figli (2,2 in media) e che la rinuncia è motivata dai rischi economici e sociali connessi alla scelta di procreare (difficoltà organizzative per la mancanza di servizi e difficoltà economiche connesse alla crescita dei figli). Anche gli aborti che hanno tuttora una rilevante consistenza (i dati più recenti indicano che vi è un aborto ogni 5 concepimenti) spesso non sono una scelta volontaria, ma riflettono vincoli sociali: il 35,2% degli aborti sono motivati da ragioni economiche e un ulteriore 11,1% è giustificato dall’assenza di un legame coniugale: quasi la metà (46,3%) del grande popolo dei non nati avrebbe quindi potuto nascere e far aumentare significativamente la natalità (+9,2%) se fossero state rimosse le cause materiali o sociali del disagio che ha motivato l’interruzione volontaria della gravidanza.

La situazione nella provincia di Rimini non è migliore. Le coppie con figli sono appena il 28% e registrano un calo progressivo (erano il 43% nel 1991); i giovani riminesi si sposano sempre più tardi: gli uomini a 35 anni e le donne a 32 anni: la difficoltà di fare famiglia si ripercuote sulle possibilità di procreare e riducono la natalità. Il numero di figli per donna è pari a 1,25 ed è nettamente inferiore non solo al valore minimo necessario per evitare il declino demografico (2,1), ma inferiore anche al dato medio nazionale (1,4).

Questo circuito involutivo, analizzato recentemente anche nel convegno dei moderati cattolici (Pennabilli, 29 ottobre) ha quindi connotazioni drammatiche a livello nazionale (testimoniate dal rilievo internazionale) ed è ancor più grave nella provincia di Rimini, ma la classe dirigente non sembra aver consapevolezza della gravità di questa sfida e dell’urgenza di interventi a sostegno della famiglia per consentire la procreazione desiderata. I problemi della famiglia vengono spesso analizzati con un’ottica sfocata che privilegia le preferenze e i gusti degli adulti o di ristretti gruppi sociali, trascurando completamente i diritti dei bambini. Il tema “famiglia” viene alla ribalta solo per esaltare nuove forme di convivenza che trascurano il punto di vista dei figli, nonostante esistano ricerche scientifiche dalle quali emerge la sofferenza dei giovani di fronte al declino della famiglia (studi internazionali hanno documentato disagi, crisi scolastiche e depressioni dei minori coinvolti dalle crisi di coppia).

Il cosiddetto “inverno demografico” è iniziato nella nostra Regione prima che nel resto d’Italia (la CEI ha dedicato all’Emilia Romagna uno studio monografico vent’anni fa) e negli ultimi decenni si è esteso anche al territorio riminese (che fino agli anni Ottanta ha avuto dinamiche virtuose). La crisi si è acuita anche per i fenomeni di contagio che hanno diffuso il calo della fertilità a tutta la popolazione, inclusi gli immigrati, dimostrando la forza dirompente degli ostacoli reali (carenze nella politica della famiglia e nell’organizzazione dei servizi sociali, disoccupazione giovanile) per le scelte familiari e per il declino demografico. Tali fattori materiali si sono intrecciati con la crisi dei valori innescando il circuito perverso. Occorre recuperare il significato simbolico e culturale della messa al mondo dei figli, segni di speranza e di fiducia nei riguardi del mondo e della vita e far si che questi valori forti determinino soluzioni razionali dei problemi sociali ed economici che hanno determinato l’attuale situazione di crisi demografica. L’identificazione dei fattori che alimentano il declino è la necessaria premessa per una strategia politica in grado di invertire il processo; una strategia in grado di annullare le tendenze perverse ed avviare una nuova fase.

L’ inverno demografico non è solo un problema sociale, è una tragedia destinata a riflettersi negativamente negli ambiti più disparati della vita: le menti migliori emigrano, il capitale sociale diminuisce, s’incrina lo scambio generazionale, i valori si indeboliscono e le relazioni interpersonali si impoveriscono in un dedalo di circuiti perversi che coinvolge la famiglia e la società.

La famiglia è il contesto in cui si recepiscono i “valori”, le tendenze culturali ed è il contesto in cui si è determinato il declino demografico; lo spostamento del ciclo della vita di coppia e il calo della nuzialità cui è seguito quello della fecondità dipendono dalle condizioni materiali, dalla concezione della famiglia e dal ruolo che tale istituzione assume nel dibattito politico e culturale. Le difficoltà di fare famiglia, di continuare a starci dentro una volta che è sorta e di avere figli provocano effetti in tutti gli ambiti della vita sociale ed economica: “quanto più la famiglia si restringe, tanto più la catena generazionale invecchia, e ha meno possibilità di riprodursi; gli anziani hanno meno nipoti, si diradano o spariscono i cugini, le reti parentali crollano. I bambini di oggi si troveranno a dover sopportare un carico sociale crescente e, in aggiunta potranno contare sempre meno sul sostegno da parte di chi viene dopo di loro” (CEI, 2011). Il circuito involutivo (calo della nuzialità, denatalità, declino) è molto forte nella nostra provincia, si avvicina al punto di non ritorno e richiede strategie politiche consapevoli della sfida e azioni strategiche in grado di fermare il declino e avviare una nuova fase di crescita equilibrata.

Attilio Gardini
Università di Bologna